Il neocampione italiano è in Maglia gialla. Con un colpo di spugna, e di pedali, Vincenzo Nibali lava via tutte le polemiche di questi mesi. La mancanza di vittorie, le lettere di richiamo dell’Astana, il tanto relax post Giro d’Italia. Non era bastata la conquista della maglia di campione nazionale italiano per placare le chiacchiere e allora eccolo qui, di giallo vestito, cinque anni dopo Nocentini, trentanove anni dopo il tricolore di Francesco Moser. Agli iper-polemici verrebbe da chiedere “contenti ora”? Sono tutti molto felici ma sicuri che sia la strada giusta?

Diciotto tappe, venti giorni, 2870 chilometri. Pensare che Vincenzo Nibali possa tenere il simbolo del primato fino a Parigi è pura utopia, commetterebbe lo stesso errore della Vuelta dello scorso anno quando i tanti giorni da leader gli sono costati la vittoria finale a favore di Chris Horner. Basta pensare al Tour del 1998 di Marco Pantani, i riflettori e lo stress dell’occhio del ciclone lontani da lui e la condizione che cresceva, poi l’esplosione sulle cime più alte. Il paragone è forte ma l’elemento da non sottovalutare è lo stress al quale costringe il singolo del primato e/o l’attenzione dei media.

È lo stesso appunto che ho fatto, sempre a Nibali, al termine dell’ottava tappa del Giro del 2013 quando indossò la Maglia rosa, difesa fino a Brescia. Per quanto sia la corsa più bella del mondo il Giro non è il Tour, una vittoria al Tour ti cambia la vita. Inoltre, l’anno scorso, era l’ottava tappa del Giro, ben diversa dalla seconda tappa del Tour. Viene dunque da chiedersi se gli obiettivi del messinese sono diversi da quelli che avevamo immaginato. La necessità di mettere fieno in cascina ha spostato il cerchietto rosso sulle vittorie parziali? Dalle sue parole si evince il contrario. Oggi, ai microfoni Rai, ha dichiarato “Continuate a seguire il Tour, ci divertiremo tutti”.