Bum-bum. E ancora bum. Schizza sangue, si consumano lapidi, vive la paura. È il periodo tra il 1992 e il 1995, quello in cui la Bosnia-Erzegovina vive la cruenta guerra con Serbia e Croazia. Sono trascorsi anni di invasioni, dalla spregiudicatezza dell’Impero Ottomano a quello Austro-Ungarico. Poi cade il muro di Berlino, la conseguente dissoluzione della Repubblica Socialista federale della Jugoslavia. Parte il fuoco, inizia l’inferno. Spazio alle armi, ma soprattuto ai pianti. 100mila morti è il risultato di contrasti aspri e crudeli. Nessuno (o quasi) ricorda Srebrenica, la città vittima del genocidio più devastante in tutta Europa a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. È Ratko Mladic, generale delle truppe serbo-bosniache, a guidare la morte di migliaia di musulmani bosniaci, costantemente ignorati dall’Unione Europea. “Siamo troppo deboli militarmente per fermare le truppe di Mladic”, dirà ufficialmente l’Onu. Sarà. Fatto sta che il bilancio dei morti aumenta vertiginosamente e la Bosnia-Erzegovina vive anni di tragedie, solitudine. E di sofferenze.

FUOCO D’AMORE – 16 ottobre 2013, ancora fuoco a Sarajevo. No, questa volta la guerra non c’entra. C’entra il calcio, finalmente. Siamo a Kaunas, in Lituania. Ibisevic timbra il cartellino e regala la vittoria in trasferta più importante della storia della Bosnia. È quella che vale il Mondiale, per la prima volta nella sua storia. È una qualificazione agognata, sfiorata a più riprese e frutto di un lavoro certosino e meticoloso che con gli anni ha dato i suoi frutti. Non prima di aver versato pianti ad un passo dal traguardo, puntualmente sfumato.
Ma ritorniamo indietro nel tempo per scoprire le origini calcistiche di una squadra abituata a soffrire. Il periodo tra il 1995 e il 2008 è il più lungo e complicato. Cambiano otto commissari tecnici, non arriva uno straccio di risultato. Il penultimo posto nel girone di qualificazione diventa lo strano “record” per una rosa apparentemente senza talenti. E invece no. Perché mentre a Sarajevo le bombe non mancavano di far da cornice di un inferno incredibile nei primi anni 90′, nuovi fenomeni – fuggiti e divisi in più parti dell’Europa – iniziano a prender confidenza con il pallone. Ci fanno amicizia, se ne innamorano follemente. Come Senad Lulic, scappato in Svizzera, o Miralem Pjanic, alla volta del Lussemburgo. Così anche Begovic, Dzeko, Spahic e tanti altri. Molti sono ancora “acerbi”, quando la Bosnia – guidata da Miro Blazevic – accarezza il sogno. Mondiali 2010, la Bosnia è seconda nel suo girone di qualificazione e dovrà sfidare il Portogallo di Cristiano Ronaldo nella gara di play-off. I lusitani faticano, ma vincono sia in trasferta che in casa. Tutto da rifare, ma la Bosnia c’è ed è cambiato il modo di fare calcio. Blazevic si dimette, la Bosnia teme.

LA STORIA NELLA STORIA – Il croato – parlano i fatti – è stato l’unico allenatore capace di inculcare la giusta mentalità ai suoi ragazzi e di trascinarli ad un passo dal sogno. La federazione sceglie Safet Susic, una leggenda per la Nazione. Sicuramente il miglior giocatore di sempre in tutta la storia del calcio jugoslavo. La sua mano e la sua saggezza calcistica, da buon ex numero dieci, è presto a disposizione del gruppo. Ci sono gli europei, i bosniaci sono preceduti solo dalla Francia. Ancora play-off, ancora Portogallo. C’è voglia di rivincita, ma il definitivo “passo in avanti” tarda ancora. L’andata si gioca a Zenica, la Bosnia tiene duro ma finisce 0-0. Al ritorno è un’altra storia, i portoghesi surclassano la Bosnia per 6-2 e volano agli Europei. Per la Bosnia ancora lacrime.

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IL SOGNO BRASILIANO – Ma Susic non molla. Questa squadra sta crescendo e alla lunga – è sicuro – i risultati arriveranno. Aveva ragione. Girone di qualificazione per Brasile 2014. Grecia e Slovacchia sono gli avversari da tener d’occhio, ma questa volta non c’è nulla che resista alla furia vendicativa dei bosniaci. Il resto è storia recente, la Bosnia è in testa e guadagna la prima storica qualificazione nella competizione più prestigiosa. E ha tutte le carte in regola per ottenere il passaggio del turno. Argentina di Messi a parte, saranno Nigeria e Iran le avversarie che presumibilmente si contenderanno con l’equipe di Susic la seconda posizione. I pronostici, questa volta, sorridono. La squadra è cresciuta e ha tanti campioni in squadra. Da Begovic a Salihovic, passando per Lulic, Pjanic, Spahic, Misimovic, Dzeko e Ibisevic. Tanta qualità, con la mentalità europea, al servizio di un Mondiale che conoscerà un volto nuovo in Sudamerica.
Fuochi d’artificio. Questa volta sì, c’entra solo il calcio.

Ecco i 23 che partiranno per il Brasile a giugno.

Portieri: Jasmin Fejzić (Aalen), Asmir Begovic (Stoke City), Asmir Avdukic (Borac Banja Luka)

Difensori: Sead Kolasinac (Schalke), Ervin Zukanovic (Gent), Avdija Vrsajevic (Hajduk Split), Ermin Bicakcic (Braunschweig) Toni Sunjic (Zorya Lugansk) Ognjen Vranjes (Elazigspor) Mensur Mujdza (Friburgo), Emir Spahic (Leverkusen)

Centrocampisti: Izet Hajrovic (Galatasaray), Sejad Salihovic (Hoffenheim), Haris Medunjanin (Maccabi Tel-Aviv), Senad Lulic (Lazio), Miralem Pjanic (Roma), Zvjezdan Misimovic (Dynamo Mosca), Edin Višća (Istanbul BB), Tino-Sven Susic (Hajduk Spalato), Muhamed Besic (Ferencvaros), Senijad Ibricic (Erciyesspor), Anel Hadzic (Sturm Graz)

Attaccanti: Edin Dzeko (Manchester City), Vedad Ibisevic (Stoccarda)