28 aprile 2010, esattamente quattro anni fa: trepidante attesa, lustri di pazienza, mista a coraggio e orgoglio, e la voglia di riscatto in un periodo in cui le cose giravano per il verso giusto anche in Campionato. L’Inter ha dimostrato tanto nella magica notte al Camp Nou, nel “lontano” 28 aprile di quattro anni fa. Lontananza non tanto cronologica, bensì di vitalità, sacrificio e compattezza, doti che all’attuale squadra non appartengono più. Quell’Inter oggi appare così lontana, diversa nel gioco, nella mentalità e nella guida.
Sì, al di là dei talenti e delle forti personalità presenti in campo nella favolosa stagione che portò alla conquista della Coppa dei Campioni, è bene riconoscere che l’istinto vincente e il carisma dei singoli componenti del gruppo partiva direttamente dalla panchina per sfociare tra gli assist, i goal, le marcature, le punizioni e anche il catenaccio.
Insomma, diamo a Mourinho quel che è di Mourinho. Chi osa, rischiando parecchio, in fondo ha la meglio comunque vada. Fa bella figura, indipendentemente dal risultato. Se poi a giocarsi tutte le carte è uno come Mou, tutto è concesso, anche puntare alla bella figura per eccellenza: la vittoria.
Uno sfacciato come lui, in grado però di riconoscere non solo le (tante) pecche del calcio italiano, nonché dei media nostrani (prostituzione intellettuale vi ricorda qualcosa?) ma anche i suoi (pochi) errori, tra cui l’acquisto di Ricardo Quaresma, serviva all’Inter e agli interisti come il pane.
Uno che ti fa sentire il Maradona o il Pelé della situazione, eppure non lo sei. Che ti concede una settimana di ferie perchè, beh, te le sei meritate. Fece questo con Dejan Stankovic, e non solo. Tutti ne parlano bene, hanno un bel ricordo degli anni targati Special One, perché era ed è speciale per davvero.
L’Inter che pazza lo è sempre stata, in 10 uomini dal 28′ a causa dell’espulsione di Thiago Motta, perde 1-0 a Barcellona ma agguanta la finale di Madrid del 22 maggio contro il Bayern Monaco. I marziani sono stati gli undici dell’Inter, nonostante il rumore assordante dei nemici. Hanno dimostrato che le vittorie di Campionato non erano frutto della mancanza di rivali all’altezza, ma semplicemente arrivavano dal merito di un gruppo degno di essere definito tale.
Una gara interminabile, per loro e per gli interisti a dir poco assetati di vittorie e successi internazionali. Solo per un leader come Javier Zanetti mancava poco alla fine della gara già nel primo tempo. Samuel ha più volte ricordato il “dai che manca poco” del Capitano. Nonostante l’ansia, che prende il nerazzurro doc anche durante un’amichevole, tutti gli interisti ci credevano eccome. Tutto faceva ben sperare in un epilogo da sogno. L’allineamento di molteplici fattori permetteva di sognare molto prima del fischio finale.
La conquista della resa dei conti con un altro club stellare, il Bayern Monaco, nell’ultima tappa verso l’ambito trofeo. Abbracci, lacrime, contentezza allo stato puro, con il pensiero già a quella finale da favola. Dai che manca poco anche a quella, il Capitano ha ragione pure stavolta. La vittoria era già nell’aria, il popolo nerazzurro la respirava a pieni polmoni, così fresca e frizzante, da solleticare ogni tipo di pensiero. Tutti bambini, per una notte, per molto di 90 minuti. In fondo un match non è un bel niente se non ci cambia, in bene o in male, allo scorrere del tempo e ad ogni azione che passa.
Le lacrime di un adulto, che pare bambino nell’emozione, ma grande nei ricordi e nei sogni: “quanto abbiamo aspettato? Quanto?“. Poco o tanto non importa. Ne è valsa la pena, e questo è ciò che conta.