Non sono molti i romanzi ispirati al mondo del tennis. Abbiamo, quindi, deciso di intervistare l’autore di Deathpoint, primo romanzo di Stefano Bolotta. Questi è un giornalista professionista, ha lavorato per il settimanale La Gazzetta di Lecco e lavora tuttora per Tele Unica, i portali LeccoChannelNews e LeccoToday. Collabora, inoltre, con i siti sportivi Ubitennis e Sportface.
Quando e come nasce la tua passione per il tennis?
In televisione sin da bambino, ero fan di Stefan Edberg. Per il tennis giocato è nata, come spesso accade, in un desolato campetto nel centro storico del mio paese, Abbadia Lariana, durante la mia adolescenza. Un campo in cemento che io e un gruppo di amici iniziammo a gestire poiché quasi abbandonato dal proprietario. Seguirono anni di accese sfide, e naturalmente la passione crebbe con il passare del tempo.
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Chi sono il tuo giocatore e la tua giocatrice preferiti?
Dopo Edberg ho molto apprezzato l’Agassi maturo e Kafelnikov, ma dal 2003 in avanti ho avuto occhi e cuore per un solo giocatore, di cui credo di avere guardato il 99% degli incontri: Roger Federer. Il più completo, elegante e vincente di sempre. Cosa volere di più da un giocatore? Apprezzo però anche le “teste matte”, dai tempi di Ivanisevic, passando per Safin. Il protagonista del mio romanzo, Jack Muffin, è un tennista appartenente a questa categoria… Per quanto riguarda il tennis femminile, non amo molto guardarlo. Mi sono fermato a Gabriela Sabatini e successivamente a Justine Henin.
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Cosa ti ha spinto a scrivere questo romanzo?
Diciamo una concomitanza di fattori. Prima di tutto la disoccupazione… Eh già. Iniziai a scriverlo dopo essermi licenziato dal giornale per cui lavoravo, anche se l’idea era nata tempo prima. E poi ovviamente la passione per la scrittura. Mi affascinava il viaggio di questo tennista scapestrato, Muffin, e la contemporanea battaglia per la democrazia negli Ex Stati Uniti. L’ambientazione è per metà fantastica e per metà futuribile, in un 2050 molto più vicino alla realtà odierna di quanto pensiamo.
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Quale messaggio vorresti arrivasse ai lettori?
Sono convinto che un’opera letteraria debba sempre avere un forte contenuto etico e sociale, al di là di quanto possa essere avvincente. Non amo i romanzi fini a se stessi, non di contenuto. In “Deathpoint” c’è il riscatto morale del protagonista principale, il diritto a conquistarsi una seconda chance, diciamo una sorta di palla break della vita. E c’è l’amore in diverse sue forme, in primis quella di Matt Porter, altro personaggio chiave, verso il Paese che ha contribuito a ricostruire con sangue e sudore. Ho voluto lanciare un monito riguardo il futuro: dove ci porterà il progresso esasperato delle telecomunicazioni? Non mancano inoltre incontri con campioni dello sport del passato che i più attenti potranno riconoscere e apprezzare.
Come sono andate le presentazioni?
Per ora sono state soltanto on line, ma posso dirmi soddisfatto di questo Blog tour che si chiude proprio oggi grazie alla vostra gentile disponibilità. A livello fisico ci sarà di certo una presentazione in libreria a Lecco nel prossimo mese di giugno.
Hai in mente di scrivere un altro romanzo?
Certamente. Ne ho già terminati due negli ultimi anni, per quanto lontani – come tematiche – dallo sport, e credo che continuerò a pubblicarli come autore indipendente, anche se mai dire mai.
Auguriamo allora buon lavoro a Stefano Bolotta e buona fortuna.