“Zlatan” vuol dire “oro”. E forse sarà anche per questo motivo che lui, Ibra, ha voluto tatuarsi sul corpo i nomi di 50 persone morte lontano dall’oro. La notizia ormai gira da qualche ora, e lo ha mostrato lo stesso calciatore svedese del Paris Saint Germain a margine del gol realizzato sabato scorso. Un gol che costa un’ammonizione dopo due minuti, ed è il pretesto per poter mostrare al mondo i propri tattoo. La vetrina più bella, che fa passare quasi in secondo piano l’ennesima rete di un calciatore straordinario.
Ma Zlatan è di più. Si erge a simbolo di una generazione che lo ha amato e odiato, spesso allo stesso tempo. Il vincente che lascia terra bruciata intorno a sé. Ma Zlatan ha sfumature che sono difficilmente comprensibili per chi non ha inteso fino in fondo il personaggio. E l’ultima trovata, quella di ospitare sul proprio corpo i nomi di 50 persone che sono morte per la fame, è una di quelle sfumature piacevolmente squisite di un calciatore fenomenale, e di un uomo grande.
Il carattere controverso di Ibra è quello che ne ha caratterizzato una carriera straordinaria. L’arroganza mista a quei comportamenti, sfumature appunte, da grandissimo personaggio ne hanno fatto un idolo anche fuori dal rettangolo verde. Ma Ibra non è solo quello che vedeva Guardiola come “un muro di mattoni” o che voleva dare un assegno al Milan, perché “avevano finito i soldi”. Ibra è quello che vuole legare il proprio nome in maniera indissolubile, ed indelebile, a quei nomi che da qualche giorno porta sul proprio corpo. Il suo nome è conosciuto ovunque, e lo sa. Adesso vuole che a quel nome, che in svedese vuol dire “oro”, venga sempre accostato un problema importante come la fame nel mondo. Sono quelle 50 sfumature che rendono Ibra sempre più grande. Sempre più controverso. E, a modo suo, un idolo.