«Credo che ognuno di noi abbia degli istinti: io credo di aver giocato a calcio in maniera molto estrosa, avevo dei colpi improvvisi ed ero anche discontinuo. Anche la cucina è così, in fondo è un lavoro di arte”. Parola di Roberto Scarnecchia, estrosa ala di classe degli anni ’80, oggi chef di lusso. Una vita di corsa, quella di Bobby-gol, come lo avevano ribattezzato a Barletta, dove è stato idolo della piazza dal 1986 al 1988. Nella sua bacheca dei ricordi, che annovera le platee dell'”Olimpico” di Roma, del “Giuseppe Meazza” di Milano e del “San Paolo di Napoli, dove ha giocato con le maglie di Roma ( 2 coppe Italia in giallorosso), Milan e Napoli, altre parentesi da docente, allenatore, imprenditore e commentatore tv. Oggi fa il cuoco, con un ristorante a Genova, MarinaPlace e un altro sopra a Ovada, a Carpeneto, il Vino di Ismàro, in un albergo, Villa Carmelita, a cinque stelle. Dal campo ai fornelli, come il diretto interessato racconta a blogdisport:
Nereo Rocco diceva “in campo come nella vita”. Per Roberto Scarnecchia “in campo come in cucina”?
«Chi sta in cucina è un artista, così come chi dipinge e chi gioca a calcio o tanti altri. Artista è chi fa un’attività di inventiva, abbinata al sapersi confrontare con le persone. Se uniamo confronto e fattore umano con la vena artistica, ecco fuori lo Scarnecchia chef».
Una passione nata già mentre giocavi a calcio.
«Certo. Negli ultimi anni a Barletta tutti venivano a mangiare da me: Ferazzoli, Lancini e tutti i romani. E’ stata la premessa per diventare chef nel 1992, ma cucinavo anche a Roma: soprattutto da me venivano a mangiare Pruzzo e Ancelotti. Un conto è preparare da mangiare per gli amici, un altro per un ristorante. Io però dico sempre ai miei allievi che se un giorno lasciamo aperta una porta ed entra una vecchietta che ci suggerisce di aggiungere una foglia d’alloro, facciamolo.
Improvvisiamo: a cena arrivano Messi, Ronaldo e Totti. Cosa prepari?
«Per un calciatore elettrico come Cristiano Ronaldo, un piatto piccante, magari peperoncino con una salsa che faccio io all’aceto balsamico. Messi è un condensato di genio e classe: quindi per lui tagliatelle di pasta fresca con porcini nani e sugo di lepre, in omaggio alla sua scaltrezza e alla sua rapidità. Per un simbolo come Totti rispetterei la tradizione romana: per Francesco un cacio e pepe fantastico, a 38 anni è ancora un piacere vederlo giocare.
Passando al campo, qual è la più grande soddisfazione di Roberto Scarnecchia?
«Ce ne sono state tante, penso alla promozione in B con il Barletta o la permanenza sempre in biancorosso, così come le vittorie di Coppa Italia e Mitropa Cup: però un pizzico di emozione in più lo riservo all’esordio in serie A, a 18 anni e davanti a 80mila persone in un Roma-Milan allo stadio “Olimpico”. Resto molto legato a Barletta: seguo molto da vicino la squadra, e un giorno sogno di allenare il Barletta. Conosco il presidente, che ho affrontato quando aveva il RapalloBogliasco e a fine partita mi fece anche i complimenti. Chissà che un giorno lontano non possa tornare a Barletta in panchina, chissà…” »
Cosa ti manca del “tuo” calcio nel calcio di oggi?
«Oggi vedo poca passione e poco attaccamento alla maglia: parlo del campo, fuori ci sarebbe tanto da cambiare. La cosa positiva è stato l’avvento di internet e televisioni, che rendono ogni partita visibile. Campioni di allora come Falcao e altri meritavano maggiore visibilità: anche noi eravamo famosi, sia chiaro, non è mancato quello, ma in tanti avrebbero meritato di godere di partite con in campo grandissimi calciatori di questo tipo».
Invece, chi ti ricorda il tuo modo di giocare?
«Molti mi accostano a Gervinho, soprattutto le radio romane con cui parlo spesso e volentieri. Forse facilità di corsa, dribbling e progressione sono somiglianti: possiamo dire che lui segna di più, io forse tecnicamente avevo qualcosina in più dell’ivoriano, che è un calciatore davvero formidabile, esaltato dagli schemi di Garcia a Roma».
Nell’ultima stagione hai allenato a Derthona, in D: non metterai mai da parte il campo per la cucina?
«Ho ancora tantissima voglia di seguire questo sport, nonostante i grandi cambiamenti che ci sono stati mi è rimasta la grande passione. Per questo ho cercato di abbinare il calcio ad altre attività e ancora oggi faccio l’allenatore. Posso diventare il più grande chef, ma resto sempre l’ex calciatore. E sfrutterò il fatto di essere stato un calciatore. Quando giocavo cucinavo, non vedo perché mentre cucino non potrei allenare. Chi non si accontenta può fare due cose fatte bene. Una cosa fatta bene e basta la lasciamo a chi si accontenta».
(Twitter: @GuerraLuca88)