Un classico sabato pomeriggio di metà aprile. La domenica di Pasqua era appena passata, il sole splendeva regalando alla mia città un assaggio di estate. Quel calore si trasformerà presto in gelo, scomodo e difficile da affrontare, provocato da un vuoto lasciato da Piermario Morosini.

Cominciano le partite di serie B, una delle quali coinvolge il “mio” piccolo Bari, tutto appare normale. Radio sintonizzata sullo storico Tutto il calcio minuto per minuto, come al solito fioccano gol ed occasioni fino a quando da Pescara, il cronista prende la linea, annunciando un malore in campo di un giocatore del Livorno, appunto Morosini: il ragazzo ha avuto un arresto cardiaco e lotta tra la vita e la morte. Subito i soccorsi, malori tra spettatori abruzzesi, scottati dal precedente caso di Franco Mancini, avvenuto quindici giorni prima.

Le partite continuano, eccetto quella di Pescara, ma i risultati non hanno alcun senso. Tutti i pensieri sono rivolti a Piermario ma non c’é nulla da fare: dopo un’ora e mezza, intorno alle 17 verrà constatato il decesso del centrocampista bergamasco. Tutti si chiedono: si puó ancora morire giocando a pallone? Evidentemente sì. Un ragazzo come tanti altri, a cui piaceva giocare rincorrendo sogni e palloni, non c’é più. È tutto così difficile da affrontare, in questi contesti ogni parola ed ogni gesto può risultare vano o fuori posto. Non si sa mai cosa si deve fare: c’è chi prega, chi piange e chi rimane esterrefatto.

Il suggerimento su ciò che andava fatto, me lo darà uno striscione esposto dalla curva nord del San Nicola di Bari una settimana dopo. Recitava semplicemente: “Morosini, Bari ti abbraccia”. Nulla di più vero, in effetti cosa c’é di meglio di un abbraccio per recuperare quel calore perduto in quel sabato di metà aprile?

Curva Nord Bari


Ciao Piermario, tutta l’Italia non ti ha dimenticato!