Gianluigi Buffon, capitano della Nazionale dal 2010, della Juventus dal 2012.

“Vorrei dedicare questa vittoria a due persone che mi hanno reso orgoglioso di fare questo lavoro e di essere italiano: a Piermario Morosini e Fabrizio Quattrocchi, che è sempre nel mio cuore“. Mai scontato, né banale Gianluigi Buffon. Il capitano della Juventus e della Nazionale, pochi minuti dopo l’importantissima vittoria nell’andata dei quarti di finale di Champions contro il Monaco, ha rivolto la sua attenzione a due uomini protagonisti di storie profondamente diverse ma accomunati dalla stessa tragica data, il 14 aprile.

Nel 2012, durante l’incontro di serie B tra Livorno e Pescara, un infarto spezzò vita e sogni di Morosini. La storia del giovane centrocampista bergamasco commosse tutto il Paese ed il mondo pallonaro italiano, per una volta capace di mettere da parte i campanilismi e concentrarsi sul succo dello sport, la bellezza del gioco. Questo, in fondo, avrà pensato ieri sera Buffon: il suo lavoro è un gioco, la fortuna di praticarlo non è per tutti. E quando gli eventi beffardi privano il gioco di un ragazzo pieno di vita e di speranze, è fondamentale rendersi conto che tale fortuna non va sprecata.

Fabrizio Quattrocchi, per il portierone di Carrara rappresenta l’orgoglio e la fierezza di essere italiano. Un sentimento che dovrebbe essere scontato per un uomo che da cinque anni porta al braccio la fascia da capitano della selezione azzurra e, idealmente, di tutto il popolo italiano. Perché è inutile negare quanto il calcio riesca a unire un popolo troppo spesso diviso dalla politica e non solo. Lo diceva anche Churchill: “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre“. Forse è per questo che anche stavolta, come nell’occasione in cui scelse l’88 come numero di maglia, nel 2000 (voleva lo 00, “due palle così“, ma non era possibile e ne scelse quattro) o in quella in cui si appuntò sulla maglietta la frase “boia chi molla” (di cui ignorava l’utilizzo storico), qualcuno sta cercando di strumentalizzare delle parole pronunciate con la più semplice delle intenzioni, quella di ricordare due personaggi che secondo Buffon meritano di essere ricordati.

Quattrocchi, guardia di sicurezza privata, morì nel 2004 in Iraq. La Rai mostrò parte del video che riprese gli ultimi secondi della sua vita, scegliendo di non mostrare il momento dei tre spari fatali. Il racconto di quegli attimi, però, fu riportato dal giornalista del Tg1 Pino Scaccia sul suo blog personale: “Fabrizio Quattrocchi – scrive Scaccia – è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: ‘Posso toglierla?’ riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde ‘no’. E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: ‘Adesso vi faccio vedere come muore un italiano‘. Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. ‘È nemico di Dio, è nemico di Allah’, concludono in coro i sequestratori“. Fabrizio Quattrocchi era un italiano.

Cinismo e dietrologia spesso finiscono per mettere in secondo piano dati e fatti meritevoli di riflessione. Le dediche di Buffon, senza troppi giri di parole, sono state belle.