Uno dei due farà il Triplete; l’altro avrà vinto tutto e perso solo l’ultima grande sfida di una stagione comunque da incorniciare. Parliamo di Massimiliano Allegri da Livorno e Luis Enrique Martinez Garcia da Gijón. In fondo Juventus-Barcellona, la finale di Champions di sabato sera, è soprattutto la loro partita. Entrambi eredi discussi di panchine pesanti, i due tecnici hanno dimostrato nel corso di questa stagione di essere all’altezza delle aspettative di due piazze storicamente esigenti e intransigenti, di due tifoserie abituate a vincere e a non perdonare ai propri beniamini nemmeno l’anomalia casuale di un piazzamento d’onore.
Mentalità vincente, quella che da sempre permea il popolo juventino e quello barcelonista e che evidentemente appartiene a Lucho e Max, vittime a inizio agosto, carnefici di ogni possibile avversario a fine maggio. Talmente forti e vincenti da imporre credo e scelte in due spogliatoi pieni di campioni e in due società spesso accentratrici di poteri e decisioni.
Così al Camp Nou Luis Enrique, spalle larghe abbastanza da sopportare da calciatore il peso della camiseta blaugrana e, in precedenza, di quella blanca del Real, ha potuto dar vita al suo progetto tecnico, solo in parte conosciuto a Roma, dove non aveva gli interpreti adatti a disposizione, e a Vigo, dove gli obiettivi di classifica erano profondamente diversi. La sua squadra ha impostato sempre il gioco dalla difesa e ha fatto di Rakitic, fortemente stimato dal tecnico, il proprio perno e punto di riferimento, potendo contare nel reparto avanzato su tre fuoriclasse immensi come Suarez, Neymar e un Messi in odore di pallone d’oro, pronti non solo a colpire nella trequarti avversaria, ma anche a sacrificarsi in fase di non possesso.
Allegri a Torino è arrivato in punta di piedi e con umiltà ha trasformato il volto a una squadra che non sembrava migliorabile. Più libertà in campo e, soprattutto, fuori dal campo per un gruppo educato per tre anni da un sergente di ferro e convinto dal toscano con ferme buone ad adeguarsi tatticamente a un modulo più consono agli scenari europei. Una rivincita sui dubbi e su Berlusconi. Così la famosa 10 euro di Conte ha fruttato interessi importanti, permettendo al club bianconero non solo di sedersi nel ristorante dei grandi, ma anche di ordinare la specialità più costosa della casa.
Un piatto solo, sul tavolo di Berlino. Lucho e Max hanno già le posate in mano e solo uno dei due potrà addentare la pietanza più ambita. Ma nel frattempo hanno già conquistato Barcellona e Torino.