Nella storia del tennis, tanti sono stati i giocatori capaci di scrivere il loro nome nell’albo dei vincitori, pochi sono stati invece i tennisti che hanno lasciato un ricordo indelebile, e che sono diventati un’icona di questo sport. Sono quelli che se sei un appassionato di tennis non puoi non conoscere, al di là dell’età, quelli che hanno legato indissolubilmente il loro nome a una racchetta e a una pallina gialla. E pensandoci, in ognuno di noi c’è un po’ di nostalgia. Non tutti li hanno potuti vedere giocare, tanti altri li hanno visti solo nei filmati che girano sul web. Ecco, quindi, che Blog di Sport ha pensato di selezionare cinque grandi personaggi del tennis del passato che mancano molto al tennis di oggi. Sceglierne così pochi in ogni caso, non è stato affatto semplice.
Sampras
Pete Sampras è stato un campione, che ha vinto ben 14 slam e 64 titoli in carriera. Al tennis attuale, però, non manca solo per le sue vittorie ma anche e forse soprattutto per il suo gioco aggressivo, potente, e al grande talento nel tocco della palla; è stato, inoltre, l’ultimo grande interprete dello stile Serve & Volley puro, in quanto batteva con grande potenza e veniva subito a rete per terminare il colpo con una volée. Il suo servizio correva molto, superando di frequente i 215 km orari, da qui il soprannome “Pistol Pete” e il suo diritto piatto era quasi inimitabile, contraddistinto da potenza e precisione. Le volée rappresentavano uno dei suoi maggiori punti di forza, considerato che era in grado di combinare in modo perfetto tocco, potenza e grande precisione. Analogo discorso si può fare per lo smash, effettuato con un salto a piedi uniti che Pete riprese da un gesto del basket.
Edberg
Lo svedese Stefan Edberg vinse 42 titoli, di cui sei slam e si distinse dai canoni imperanti della sua epoca, diventando l’ultimo rappresentante in ordine di tempo del puro ed elegante gioco d’attacco, che aveva decretato gli standard estetici del tennis per tutto il dopoguerra e fino all’avvento dei regolaristi degli anni ‘70. Dal punto di vista tecnico, Edberg abbandonò fin da subito il tradizionale rovescio bimane per un classicissimo colpo a una mano, che Stefan riusciva indistintamente a compiere con un leggero top-spin, piatto o in back, e che assecondava molto bene la sua natura di attaccante. Il rovescio divenne, così, il suo marchio di fabbrica, sia da fondo campo, usato come efficacissimo passante o come profondissimo colpo di approccio, sia a rete, effettuato nella più perfetta volée rovescia della storia del tennis, prima responsabile della luminosa carriera di Edberg. Andando più nel dettaglio, la sua volée bassa resta un colpo ineguagliato, sia come efficienza, che come bellezza del gesto.
Lo svedese godeva anche di un servizio eccellente straordinariamente profondo, preciso e contro cui era molto difficile rispondere. La caratteristica principale della battuta di Edberg era proprio la capacità di avere rimbalzi altissimi ed effetti compositi, grazie a una pronunciata torsione del busto nella fase di caricamento del servizio. Il modo di servire, la rapida uscita con un balzo nel campo e la velocità nel venire a rete perfezionavano il suo corredo di grande attaccante e l’esplosività delle gambe completava il tutto, dandogli la possibilità di compiere la volée molto vicino alla rete. Edberg metteva in mostra un pregevole gioco di volo, pulito ed essenziale; in particolare la volée di rovescio era micidiale: alta in lungolinea, velocissima in diagonale, dolce quando stretta e corta, o in avanzamento, a volte scavata da terra, così bella da guadagnare il premio come miglior prima volée del circuito. Quando poi la risposta dell’avversario era bassa e gli arrivava tra i piedi, Edberg faceva vedere il suo vero capolavoro: in piena corsa, con la racchetta che sfiorava il suolo, lo svedese restava in equilibrio, prendendo la palla con un leggero taglio all’indietro, mandandola a pochi centimetri dalla linea di fondo, così da cambiare in un istante il tema tattico e obbligare l’avversario a un passante complicatissimo.
Infine, Edberg ci manca anche per il frequente fair-play e la massima signorilità della condotta: mai un’imprecazione fuori posto, mai una protesta forte, mai un gesto deplorevole. Non a caso, come detto sopra, conquistò per cinque anni il premio alla sportività che l’ATP assegnava al tennista più corretto della stagione e che dopo il suo ritiro gli è stato intitolato.
McEnroe
McEnroe vinse 77 titoli di cui sette slam, compiendo una vera e propria rivoluzione nel mondo del tennis, così importante da non poter esser sottodimensionata. Secondo Jimmy Connors, nessuno ha destato un interesse simile come John McEnroe; e questo sia certamente per il suo carattere irascibile e per le famosissime sfuriate contro arbitri, avversari, e giudici di linea, ma anche e in particolare per il suo gioco personalissimo, caratterizzato da attacco, tocco, angoli e anticipi.
Il dominio del tennista americano durò sia prima che dopo la principale svolta nell’evoluzione dei materiali, dal legno alla grafite. La sua formidabile capacità di controllo gli dava la possibilità di avere una incordatura a soli 18 kg in grado di evidenziare la sua grande sensibilità di tocco.
McEnroe, mancino, era un giocatore d’attacco, le cui armi principali erano il serve-and-volley, le risposte d’attacco, e il gioco anticipato da fondo.
Il famoso servizio di John McEnroe era contraddistinto da una posizione particolarissima, siccome veniva effettuato con i piedi paralleli alla linea di fondo campo e le spalle rivolte alla rete. Il movimento era assai complesso da decifrare per i suoi avversari, ed erano particolarmente velenosi anche i servizi a uscire dalla sinistra del campo.
Il suo gioco d’attacco da fondo campo si fondava sull’utilizzo di colpi anticipati, agevolati da grandi riflessi, che gli consentivano di anticipare spesso l’avversario. Il suo gioco difensivo, invece, era basato su passanti eccezionali e su lob millimetrici.
Infine, la parte più elogiata del suo gioco, la volée: quasi piatta, dal movimento breve, precisissima e molto personale in tutta la gamma del gioco di rete (dritto, rovescio, drop-volley, demi-volée).
Borg
Lo svedese Bjorn Borg conquistò 63 titoli, di cui 11 slam, venendo ricordato soprattutto per i suoi cinque trionfi di fila a Wimbledon – record eguagliato solamente, quasi trent’anni dopo, da Roger Federer – e anche per esser riuscito a coniugare al tennis su erba il suo gioco da fondocampo, che pareva, invece, rendergli impossibile un ruolo da protagonista sul verde. Le sue vittorie, dunque, hanno maggior peso perché raggiunte in un contesto tennistico più volte definito dagli appassionati l’età d’oro del tennis che vide l’affermazione di giocatori come Jimmy Connors e John McEnroe.
Borg fu in grado di imporre standard tecnico-atletici ancora ignoti ai suoi avversari del tempo: lo svedese fu, infatti, il primo a colpire la palla con il colpo diritto costantemente dal basso verso l’alto, dandole il cosiddetto effetto in top-spin attraverso la rotazione del polso. Praticava il rovescio a due mani, sebbene all’epoca fosse ritenuto poco elegante: fu uno dei primi, peò, a giocare ad altissimi livelli con quel colpo, evidenziandone tutte le potenzialità. La preparazione fisica di Borg insieme alla enorme solidità mentale lo fecero un giocatore dotato di resistenza e velocità straordinarie.
Lo stile di Bjorn ispirò il tennis meno spettacolare e più fisico delle epoche successive alla sua; a differenza dei suoi successori, tuttavia, con le sue cinque consecutive affermazioni sull’erba di Wimbledon e le quattro finali all’US Open lo svedese dimostrò di essere molto più che un forte regolarista. Una nota anche riguardo al carattere, glaciale e imperturbabile non solo verso gli avversari e gli arbitri ma anche a fine gara era solito esultare in modo molto composto. Da qui i soprannomi Iceborg o Iceberg.
Bertolucci
Per finire un po’ di nazionalismo col nostro Paolo Bertolucci, il cui soprannome, braccio d’oro, dice già molto se non addirittura tutto. Fu dotato, infatti, di un eccellente tocco e grande talento tennistico, che purtroppo non potè esprimere al meglio per il fisico non proprio idoneo, essendo fin dalla giovinezza brachitipo.
Bertolucci fu un membro importantissimo della squadra italiana che nel 1976 conquistò la Coppa Davis e che nei quattro anni successivi raggiunse per ben tre volte la finale. In questa competizione ha disputato 40 incontri, trionfando in 8 su 10 in singolare e 22 su 30 in doppio, tutti in coppia con Adriano Panatta. Assieme a quest’ultimo, nel 1976, quando giocò e vinse la Coppa Davis a Santiago del Cile, Bertolucci usò una maglietta rossa in segno di protesta contro la dittatura di Augusto Pinochet.
Nel ranking andò molto vicino alla top ten, ottenendo come miglior piazzamento la posizione numero 12 nell’agosto 1973.