Bianco e nero, Beppe Conti vs. Stefano Garzelli. La nuova edizione del Processo alla tappa, condotto da Alessandra de Stefano, porta sul palco due poltrone e due punti di vista sulle questioni della frazione disputata. Al centro il giudice, SuperMario Cipollini. Garzelli, chiusa la carriera agonistica pochi mesi fa, vive la corsa da corridore, Conti è un esperto di storia del ciclismo dallo sguardo giornalistico e nostalgico. Opinioni contrastanti messe ai voti, opinioni, punti di vista.

Come spesso accade nella vita non c’è una verità assoluta, sarebbe bello fosse chiara e limpida a tutti ma la vita è fatta di soggetti con la loro soggettività. Per quanti sforza faccia un giornalista non potrà mai capire veramente cosa significa gareggiare per cinque giorni consecutivi sotto la pioggia, con la costante preoccupazione di cadere, con un asfalto pessimo, con una famiglia a casa ad aspettarti…possibilmente integro. Per quanti sforzi faccia un corridore non potrà mai capire veramente cosa significa seguire la corsa dalla sala stampa, da un monitor, cercare in quei pixel le emozioni e le sensazioni, correre all’arrivo per parlare con i protagonisti. Sono due vite molto diverse eppure, un tempo, non era così.

Come spesso accade nella vita da entrambe le parti ci sono delle mancanze. L’impressione che io ho avuto, io che non sono né una giornalista né una ciclista (ma una ex quasi-ciclista con il gene ciclistico, quello si, e la passione per questo sport e per il suo racconto) è che negli anni sia maturata una certa diffidenza nei confronti della stampa, un diffidenza più che comprensibile visto quanto accaduto negli anni “90 e visto quanto accade ancora oggi. Emblematico è come sempre, purtroppo, il caso Pantani, osannato fino a pochi minuti prima sui giornali e le tv di mezzo mondo, messo al gogna mediatica poco dopo come il peggiore dei criminali. Non si tratta di un fenomeno isolato. Con il passare degli anni i giornali e le tv hanno lentamente depennato il ciclismo dalle loro priorità, salvo sparare a sei colonne i casi più o meno fondati di doping. Dall’altro lato abbiamo un mestiere sempre più difficile, anche per o con la scusa della crisi, la stampa è sul baratro del fallimento, la maggior parte dei giornalisti guadagna una miseria e spesso neanche quella. La tecnologia ha portata alla frenesia della notizia, una frenesia che genera notizie spesso vuote, non verificate.

Rispetto ai decenni scorsi al Processo alla tappa si vedono meno corridori e forse ci sono anche meno giornalisti in mezzo al gruppo, nel vivo della corsa, a confrontarsi con i corridori. Motivi economici e/o di pigrizia. Fatto sta che la mia impressione è che ci sia meno confronto fra le due parti. Ora per ogni episodio accorso in queste prime tappe ci sono diverse spiegazioni possibili, ci sono 200 corridori ognuno con il suo punto di vista e ci sono dei giornalisti chiamati a raccontare il loro. Impuntarsi tutti sulle proprie posizioni non serve a nessuno. Poi ci sono dei dati oggettivi: la pioggia (Giro anticipato di una settimana rispetto al passato, pioggia e neve anche lo scorso anno), le cadute (ci sono, o c’erano, 210 corridori al via della prima tappa, tantissimi giovani con la voglia di far bene e di farsi vedere, proprio come al Tour…dove si cade tantissimo la prima settimana), l’asfalto viscido (a Bari era complice la salsedine ma in generale le strade italiane non spiccano per qualità del manto stradale ed è sempre stato così), le ruote in carbonio (con questo materiale si frena diversamente ma i corridori lo sanno, sono dei professionisti), la pressione dei copertoncini troppo alta e/o la qualità degli stessi (come in motoGP le scelte tecniche si pagano, può essere un caso che tutti i Giant, a Bari, sono rimasti in piedi e tutti Cannondale è caduta), la sceneggiata con time out vista a Bari (le condizioni dell’asfalto erano chiare molto prima della partenza, si poteva decidere prima ma forse, in gruppo, mancano i punti di riferimento di una volta e sarebbe comprensibile visto il cambio generazionale e soprattutto il cambiamento radicale del sistema che disperde il movimento su tutto il globo, con squadre che hanno il doppio o forse il triplo dell’organico. Colpa ha anche l’organizzazione troppo attendista, ci vuole polso! Situazione pericolosa? Ultimo giro neutralizzato con comunicato alla partenza, PUNTO).

Come spesso accade nella vita ci sono le scale di grigio e programmi come il Processo alla tappa sono fatti per confrontarsi. Il confronto non è una battaglia e le persone intelligenti sono quelle disposte a valutare il punto di vista altrui per poi decidere se restare della proprio opinione. La colpa non è mai di uno solo ma solo relazionandosi di può rimediare… e crescere.