A volte il calcio può essere crudele. Può essere spietato. E non ci sono soldi e titoli che tengano davanti al codice etico della vita. Davanti alla morte soprattutto. È quello che è successo a Yaya Toure, centrocampista del Manchester City campione d’Inghilterra, che tramite le colonne di France Football ha lamentato lo scarso comportamento della dirigenza dei citizens, accusati di non aver fatto tornare la stella di Manchester a casa, per trovare il fratello Ibrhaim che di lì a poco avrebbe lasciato tutti i suoi cari. Colpa di un cancro, che l’ha strappato alla vita a 28 anni: “I dirigenti del Manchester City sapevano bene quanto soffrivo, eppure non mi hanno concesso qualche giorno prima del Mondiale per stare vicino a mio fratello. Sono dovuto partire per festeggiare il titolo ad Abu Dhabi, mentre lui soffriva nel suo letto per i suoi ultimi giorni. Per me è stato uno shock enorme, era il mio confidente, il mio migliore amico. Sono pentito di non aver insistito, avrei dovuto farmi rispettare dal club. Io e Kolo siamo rimasti al Mondiali per cercare la qualificazione agli ottavi, farò di tutto per ottenerla anche per mio fratello”