La legge Bosman, i procuratori e altro. Quando si parla di calciatori professionisti viene in mente solo una persona, con indosso la casacca della squadra per cui gioca che si reca agli allenamenti, si impegna nelle partite della stagione e vive con i privilegi di un elemento importante. I calciatori sono contrattualizzati, dunque, a fine mese stipendio accreditato sul conto corrente con la vita che, a un tratto, assume i crismi di una cosa bellissima (non che non lo sia, intendiamoci). Già i contratti, ossia quel foglio che si firma alla presenza di fotografi e con una stretta di mano tra il dirigente sportivo e il calciatore in questione, divenuti ormai carta straccia nel mondo del calcio. Un giorno, noti Tizio che prolunga la sua permanenza di altri due anni con una squadra, per poi scrivere, dopo una settimana, che lo stesso Tizio si è trasferito in un’altra compagine. Che senso ha firmare un adeguamento, se poi è solo e soltanto il Dio denaro a comandare?
Poche ore fa ho ascoltato con attenzione le parole di Urbano Cairo, presidente del Torino, a proposito di Alessio Cerci, da tutti additato come certo partente. «Ne abbiamo parlato talmente tanto. Il tema è facile –dice il numero uno granata: se ha il piacere di rimanere al Torino, io sono il primo a volerlo a tenere. Se invece il ragazzo ha voglie diverse, diventa più difficile trattenerlo: non è opportuno tenere un giocatore così importante non motivato». Una sorta di apertura alla cessione dell’Ex Roma, evidentemente non soddisfatto del contratto che lo lega al Torino fino al 2016. Sempre nella città della Mole, ma sull’altra sponda, quella bianconera, esiste un caso simile che prende il nome di Arturo Vidal. Il cileno, che ha firmato un rinnovo solo pochi mesi fa con scadenza 2017, è in dubbio se rimanere alla Juventus. Il Manchester United sarebbe (il condizionale è obbligatorio) sulle sue tracce da mesi e il calciatore in questione, ogni giorno che passare, fa aumentare le domande ai tanti tifosi della Vecchia Signora. Quelli elencati, sono solo due episodi di un calcio sempre più comandato dagli agenti che, nella maggior parte dei casi, decide la destinazione al proprio assistito, soprattutto quando gli accordi sono destinati a cadere nel giro di un anno.
Una domanda sorge spontanea: ma se un 40enne operaio, dopo aver firmato il proprio contratto con un’azienda, decide di andare a lavorare altrove, sarà costretto a pagare penali salate o la questione finirebbe a tarallucci e vino proprio come accade nel calcio, dove le società non sono tutelate e, spesso, “ricattate” (termine forte, ma ci stava) dai calciatori stessi?