“A volte ritornano” intitolava Stephen King la sua storica raccolta libri datata 1978. Sono passati più di trent’anni ma la formula è diventata in modo eufemistico un cult, spendibile in tante, troppe situazioni, soprattutto romantiche, quando si vuole descrivere in modo sintetico l’intensità di un “ ritorno di fiamma”. Ronald Artest, anzi, Metta World Peace torna ai Los Angeles Lakers dopo un anno speso nel Belpaese, alla corte di Cantù; biglietto di sola andata probabilmente perché gli anni si iniziano a sentire, sono quasi trentasei.
Personaggio a dir poco paradigmatico il nostro Metta, cresciuto nello Stato di New York in compagnia di genitori che decisero di non volersi bene sin dalle prime battute. Il pargolo assiste a soli sei anni al divorzio dei genitori e qualcosa nella scatola nera inizia a prendere forma, forse un primo input di rabbia, un puerile senso di libertà, chiamatela come volete. Metta non ci sta e matura quell’attitudine alle poco raffinate maniere che lo contraddistinguerà fino ai giorni nostri. L’intervento dell’assistente sociale fu necessario per placare gli animi in casa Artest. Il basket fu introdotto a Metta come un luogo dove “vi erano anche altri ragazzi”, una bizzarra, quanto allettante, strategia imposta dall’alto per maturare nel ragazzo il senso della socializzazione, della compagnia, del rispetto reciproco. Il ragazzo preferì far vedere che sul parquet ci sapeva fare, eccome se ci sapeva fare: vincerà un titolo NBA, il premio come miglior difensore dell’anno nel 2004 e più volte sarà convocato all’All Star Game. Scarso, Metta.
Lascio alla statistica il tedioso quanto doveroso compito di segnalarvi media punti, rimbalzi, assist e via dicendo; basti sapere che girò mezza America tra Chicago, Indiana Pacers, Sacramento Kings e Los Angeles Lakers, e dovunque Metta sia andato ha lasciato un segno, nel bene e nel male. Sedicesima scelta dei Chicago Bulls nel 1999, passò dopo tre anni agli Indiana Pacers: indomabile stagione 2003-2004, ne metteva venti a partita. Fatico a raccontare Ron Artest perché bisognerebbe parlare di sentimenti, non di fatti; bisognerebbe provare a capire cosa provasse veramente quel 19 novembre 2004 al Palace of Auburn Hills di Detroit, quando provò a prendere a sportellate Ben Wallace, uno che proprio piccolo non è, e ci riuscì effettivamente con il pubblico. Come il pubblico? Accadde durante un nervosissimo time-out: bottiglietta in testa a Ronald e autentico pandemonio. Ron scatta dalla panchina, salta tre/quattro seggiolini alla volta, fratturando costole ai telecronisti presenti, in contropiede sarebbe stato più lento, arriva dall’attentatore di bottiglietta, e gli rifila un destro. Non abbiamo più notizie di quel povero cristiano che lanciò la bottiglietta; sappiamo solo che Ronald tirò più di un gancio destro e nemmeno in dieci riuscirono a fermarlo.
Venne squalificato per 80 turni e una multa di quasi 5 milioni di dollari per una redenzione economica necessaria ad evitarsi la gattabuia. Prima ai Sacramento, poi agli Houston Rockets la sua carriera cestistica prosegue a luci e ombre, giocate di gran classe accompagnati da rivedibili problemi a livello caratteriale. Ma d’altronde va così, e siamo abituati, da Balotelli a Fognini, “hanno le capacità, ma non si applicano”. E se si applicano non lo fanno in campo, quasi sempre. Ron Artest decise di cambiare il suo nome in Metta World Peace: “ ora quando i tifosi si arrabbieranno con me dovranno dire – I hate Metta World Peace- ovvero – io odio la Pace nel Mondo”. Di certo non una cosa da tutti. Dopo una breve esperienza in Cina, Metta arriverà anche qui da noi in Italia, discreta stagione con Cantù e settimo posto in classifica. Nuovo nome: “The Panda’s friend”, vai a capirlo. Una toccata e fuga perché in fondo il suo cuore non può indugiare, non può proprio permetterselo; prossima destinazione, ancora tu, Los Angeles Lakers! Allora diciamolo con un ghigno di mistero: Buona fortuna Ron, Metta, Panda’s friend, fai il bravo, e che sia la volta buona! A volte ritornano…