Mazzarri ha liberato il suo armadietto pieno di scuse che non reggono più. Non meritava di uscire di scena così, per la professionalità che ci ha messo, ogni (maledetta) domenica, in ogni singolo allenamento. Ha cantato e portato le croce per un anno e mezzo. Ha camminato in equilibrio precario tra due gestioni societarie e un conflitto profondo di cui, temo, abbiamo percepito solo la punta dell’iceberg.
Mazzarri è stato per un anno e mezzo l’allenatore dell’Inter, ma credo non sia mai stato l’allenatore degli interisti. Il motivo è semplice: non è mai scattato l’amore. Nel calcio l’humus è una componente fondamentale. Senza amore non si va da nessuna parte. La storia nerazzurra, per quanto ad un punto di svolta, non contempla allenatori alla Mazzarri. Mister sempre imbronciati e con la scusa pronta. È colpa dell’arbitro, è colpa della pioggia, è colpa del vicino di casa.
Non ricordo un Mazzarri esultante, non ricordo un abbraccio tra lui e i giocatori. Stramaccioni, nel disastro di un anno senza Europa, aveva regalato più immagini di giubilo. Le braccia alzate dopo il derby, l’abbraccio a Cassano dopo i gol, la corsa sotto la curva dopo la vittoria a Torino. La vittoria a Torino contro la Juventus di Conte, appunto. Mazzarri non ha mai battuto una grande, a parte il Milan, e questo ha fatto di lui un dead man walking, fino alla clamorosa notizia di questa mattina.
Torna Roberto Mancini. Non si tratta di essere più bravi o meno bravi a livello tecnico. Di difesa a 3 o difesa a 4 (anche se Vidic si troverà meglio, dicono). Il Mancio è un allenatore elegante, che piace ai bauscia, ad un pubblico dal palato fine, costretto a sopportare gli stop a seguire di Nagatomo e i piedi ruvidi di Medel, ma non un allenatore che non sa stare in giacca. Ma cosa più importante, Roberto Mancini è allenatore Internazionale. È più preparato di quando lasciò l’Inter, ha girato il mondo, ha stretto relazioni con altri campioni. E le relazioni, quando il budget è scarso, contano eccome. Trova un’Inter molto diversa da quella che ha lasciato, ma non troppo più scarsa della prima che ha trovato.
Allora c’erano Adriano e Martins, Veron e Davids sul viale del tramonto e Cannavaro scambiato per Carini. Mancini ci mise la faccia, costruì una buona squadra, che vinse tutto, in Italia, anche (sopratutto?) grazie a Calciopoli. Voleva una squadra già pronta a vincere, Roberto Mancini, il Paris Saint Germain magari. Si ritrova ad affrontare la sua più grande sfida da allenatore. Ripartire da zero per riportare l’Inter ad essere “Internazionale“. Che sia una bella e nuova storia d’amore, Mancio.