Ieri la Juventus ha potuto festeggiare un approdo in una finale di Champions League che mancava da quella sfortunata notte di Manchester. Nei bianconeri, tra veterani e giocatori che in Inghilterra non c’erano perché troppo giovani o perché militanti in altre squadre, c’è un calciatore a cui la festa è stata in parte rovinata. È il caso dello spagnolo Alvaro Morata, che avrà anche festeggiato la storica finale negli spogliatoi di Madrid, ma che in cuor suo un minimo di tristezza crediamo l’abbia avuta e crediamo che oggi continuerà ad averla. Quei fischi riservatigli nel momento dell’uscita dal rettangolo di gioco per far spazio a Llorente, non possono non lasciare il segno.
Il sogno di ogni ragazzino è quello di giocare nel Real Madrid prima o poi, di qualsiasi nazionalità sia, figuriamoci se non lo sia anche per uno spagnolo cresciuto nel Real. Il sogno di ogni attaccante affermato è invece quello di poter lasciare il segno con i blancos, magari diventando per il mondo madrileno quello che oggi è Cristiano Ronaldo. Ma immaginate cosa possa essere per un giocatore come Morata, cresciuto a Madrid e fino a ieri con il sogno nel cassetto di poter tornare a giocare nella squadra con cui si è fatto conoscere nel mondo del calcio, essere salutato da fischi immeritati, anziché da applausi.
Eppure lui aveva solo svolto il proprio compito, anzi, probabilmente non lo aveva nemmeno svolto al cento per cento. Perché chiunque avrebbe esultato con tutte le energie in corpo dopo aver segnato un gol ad una corazzata come quella madrilena in una partita così importante. Lui invece ha sempre mantenuto un profilo basso, venendo osannato da tutti i compagni di squadra ma non lasciando mai intravedere quella scompostezza che altri avrebbero rivelato. Ecco perché Morata quei fischi proprio non se li aspettava, ma soprattutto non li meritava. Ecco perché resosi conto di quanto stesse accadendo in quegli istanti ha poi cercato riparo nell’ovazione della frangia bianconera presente al Bernabéu, proprio come avrebbe fatto un bambino spaesato e con il cuore a pezzi, in cerca dell’abbraccio rassicurante della propria madre per sfuggire ad un incubo.
Oggi probabilmente Morata starà ancora sognando di poter tornare a vestire la maglia del Real in futuro, convinto che in una società ad essere decisivo non sia tanto il volere dei tifosi (solitamente voltagabbana), quanto piuttosto il volere di una dirigenza. Quella stessa dirigenza che nel momento in cui si apprestava a sacrificarlo definitivamente per poter concedere maggior spazio ai big e per poter farlo maturare altrove, lo legava al suo sogno con la clausola del contro-riscatto, strappandogli la rassicurazione che un giorno sarebbe tornato a casa accolto dai suoi tifosi. Certo è che a prescindere da quello che sarà il suo futuro, quei fischi devono avergli fatto davvero male, lo stesso male che avrebbero fatto ad un bambino con il sogno di vestire la maglia del Real.