“Si sta come d’Autunno sugli alberi le foglie”. Ungaretti scriveva di soldati. Eroi. Noi parliamo di un soldatino. Eroe di un calcio che va via via sciogliendosi come la neve di Marzo sui ghiacciai alpini. Ma Bufalotta è lontana dalle Alpi. E la storia del soldatino Di Livio parte proprio lì, in quel cartiere di 6.000 abitanti di Roma.
Quella Roma verace che tifa Roma, e come potrebbe essere altrimenti? Quella Roma che nasce con il giallo e rosso nel cuore, e la filosofia contemporanea ce lo insegna: si può cambiare tutto nella vita, non la squadra del cuore. Perché di cuore si tratta. Quello di Angelo Di Livio è grande. E la sua storia inizia il 26 Luglio del ’66, mentre Bobby Charlton nel mondiale inglese stendeva il Portogallo di Eusebio in semifinale, prima di andare a vincere poi mondiale e pallone d’oro. Ricordate sir Bob: Angelo Di Livio è un’altra cosa. È il figlio di Amerigo, operaio, e di Antonia, casalinga. Ha smesso di studiare a 13 anni, per lavorare, come benzinaio. Mattina lavoro, pomeriggio allenamento.
Arriva la chiamata della Roma, e la vita di Di Livio cambia. L’esperienza con la Primavera giallorossa è entusiasmante: vince il torneo di Viareggio e gira un po’ l’Italia in prestito tra Reggiana, Nocerina, Perugia. Ma la Roma smette di crederci: il Perugia lo acquista in maniera definitiva, e lui lascia la Roma senza aver mai giocato con la casacca giallorossa. Nemmeno una presenza. E quel cuore giallorosso, segnato dall’esperienza romanista, non smetterà di battere sotto altre maglie. Il Padova è la prima realtà che conosce le abilità di un’Ala capace di correre dall’inizio alla fine della partita. Con delle qualità tecniche non eccelse, in un calcio che aveva in Italia individualità importanti. Padova è il trampolino di lancio. Gioca con Alessandro Del Piero e l’anno seguente finisce alla Juventus con lui.
Lo voleva Trapattoni. Lo aveva voluto fortemente, tanto da pagarlo 4 miliardi di Lire. Debutta il 5 Settembre a Roma, contro la Roma. Indossa la maglietta del nemico di sempre, a pochi passi da casa. Vince la Roma. Ma lui vincerà di lì a poco tutto: scudetto, Champions League, Intercontinentale. E l’amore del popolo bianconero. Che ama, in maniera irrazionale, un calciatore che assomiglia ad un soldatino, perché corre con le braccia ai fianchi e il collo dentro. “Sembri un soldatino”, gli disse Roberto Baggio. Mica uno qualunque. Poi l’addio alla Juve e l’arrivo alla Fiorentina. In un periodo storicamente poco fortunato. Di Livio sarà il capitano della Florentia Viola, quella squadra che in C2 prese il posto della Fiorentina fallita.
Angelo Di Livio è una di quelle foglie che dall’albero non è caduta mai. Almeno nel mio immaginario è un eroe del calcio moderno. Ha una stella allo Juventus Stadium, ma si dice romanista. E forse è il modo di vivere il calcio più bello che ci sia. Perché Juventus – Roma è una rivalità sportiva, non una guerra. E Di Livio è nato in una parte di Roma che tifa Roma. E non ha rinnegato la propria fede. Portando sempre con grande rispetto, e devozione da soldato quasi, la maglia del momento. Mettendo il cuore per vincere con la Juve e scendendo nell’inferno della C2 per la Fiorentina. Ed è un bel modo di intendere il calcio. Senza rinnegare l’amore calcistico, ma a testa alta. Onore, Soldatino.