Pochi preamboli, “Fede è andare allo stadio quando puoi vedere la partita in televisione”. Una frase ascoltata per la prima volta nel film di Dino Risi, “Vorrei una ragazza” nel lontano 2001. Già. Nel 2001 il calcio italiano poteva ancora contare su squadre forti, belle da vedere, pimpanti in Serie A e in Europa che non lasciavano spazio a tutti i “fattacci” che stanno rovinando il gioco più bello del mondo. Nel medesimo anno, Antonio Carioti, noto giornalista del “Corriere della Sera”, chissà quante volte si sarà recato a “San Siro” per ammirare il suo Milan. Si, perché i rossoneri sono una compagine che colpisce dritta al cuore, come un “diavolo” che ti entra in testa e litiga con l’altra parte di angioletto che risiede in ognuno di noi. Antonio, però, ha scelto il “Diavolo” sotto ogni punto di vista, tanto da scrivere un libro pubblicato pochi giorni fa. Si chiama “#incimaalmondo” di Fandango Editore e siamo sicuri che avrà successo, perché interessante, genuino in ogni sua singola parola. Lui, con una grande passione milanista, racconta con il suo stile inconfondibile l’essere tifoso del Milan. Nel 2011 ”Con il Diavolo in corpo” (Mursia) aveva fatto capire qualcosa ai lettori di fede rossonera, e non solo, ma #incimaalmondo” è un mix di orgoglio e senso di appartenenza alla gloriosa casacca meneghina, con un’idea ben precisa pensata dal lontano 2003, anno nel quale il Milan vinse praticamente tutto. Dai rigori di Manchester, contro la Juventus, che regalarono la sesta Champions League, al doppio confronto vinto e stravinto ai danni della Roma nella finale di Coppa Italia. Un’annata speciale, una primavera che brulica di vita, prima di un’estate calda, ma dolce come una spolverata di zucchero sui cornetti appena sfornati all’alba, che ha avuto il suo epilogo proprio in questi giorni con l’uscita del libro.
Antonio Carioti, anzitutto complimenti per la sua nuova “creazione”. Come mai ha scelto il titolo #incimaalmondo?
«Il libro fa parte della collana dei “manuali dei tifosi” di Fandango Editore, da sempre protagonista per quanto concerne pubblicazioni da dedicare al calcio. Quando ho visto che mancava un volume sul Milan, mi sono proposto e fortunatamente ho avuto una risposta positiva. Perché questo titolo? Perché il Milan è la squadra con più trofei internazionali, 18, uno in più del Real Madrid, anche se gli egiziani dell’Al Ahly hanno recentemente superato questo record. Però, con tutto il rispetto, non si possono paragonare le coppe vinte in territorio africano o asiatico con le competizioni europee».
Perché questa opera in un periodo difficile della storia rossonera?
«Mi sono rivolto a tutti i tifosi, in questo momento non troppo positivo per il Milan. In fondo abbiamo visto di peggio: siamo retrocessi sul campo a Cesena, nel lontano 1982, e io ero presente. Ora vorrei ricordare a tutti che, anche prima dell’avvento di Silvio Berlusconi, il Milan aveva vinto tanto. Oggi si è un po’ perso tra i tifosi rossoneri quel senso di appartenenza di una volta che deve essere per forza ritrovato e credo che Pippo Inzaghi sia l’ideale per far tornare l’entusiasmo. Ricordo, poco prima della “discesa” in B a tavolino, nel 1980, uno striscione rappresentativo che mi colpì. “Serie A, Serie B, noi saremo sempre qui”. Pensi, dopo il ritorno nella massima serie con l’allora presidente Farina, i rossoneri registravano più abbonamenti di Juventus e Inter. Le prime grandi vittorie sono arrivate negli anni ’50, ma ricordo con grande piacere i successi ottenuti da Carraro e Nereo Rocco con un fuoriclasse come Rivera, ma pochi mezzi a disposizione. Con l’arrivo di Berlusconi, bravo a capire il binomio calcio-tv, il Milan è ritornato ad alzare coppe internazionali».
Dal passato al presente. Come giudica l’attuale mercato di Galliani e soci?
«Sono critico, assolutamente. Certo, si è acquistato un buon portiere come Diego Lopez, considerati anche gli acciacchi di Abbiati, un calciatore come Armero, che ancora non so se è un terzino o un esterno di centrocampo, Menez, una scommessa che può essere vinta. Sull’altro acquisto, il brasiliano Alex, non sono molto fiducioso per via dell’età e della stazza fisica che lo rendono un po’ lento e potrebbero arrecare danni in difesa. Adesso si parla di Torres come sostituto di Balotelli, ma questa è una scelta incomprensibile per età, alto ingaggio dello spagnolo e declino dello stesso attaccante. Non vedo un’idea ben precisa, un progetto di squadra. Malgrado tutto, ho rinnovato come sempre il mio abbonamento allo stadio, anche se Berlusconi, che ringrazio per tutte le gioie che ci ha regalato, deve investire, altrimenti meglio cambiare proprietà».
Cosa servirebbe per rinforzare la squadra?
«Bisogna costruire una squadra con calciatori giovani, forti, ma quelli bisogna pagarli. Servono, inoltre, centrali difensivi affidabili per ogni competizione, che noi non abbiamo. E poi, a centrocampo, mancano elementi di qualità, in grado di costruire il gioco: con Muntari, De Jong e Poli, che apprezzo per l’impegno, questo non è possibile. Infine, bisognerebbe sostituire degnamente Mario Balotelli».
Proprio su “Super Mario”, secondo lei è un bene o un male averlo venduto al Liverpool?
«Balotelli, a mio modo di vedere, era un lusso per il Milan, perché non poteva essere un leader. Nel Liverpool, al fianco di una persona dal grande carisma come Gerrard, Balotelli potrebbe rivelarsi la classica ciliegina sulla torta. Mario è un elemento dalle grandi doti tecniche, ma con un carattere un po’ particolare. Però garantiva gol sempre importanti. Ora noi tifosi rossoneri possiamo sperare che El Shaarawy torni quello di due anni fa e Pazzini risolva i problemi fisici. Posso capire le scelte del Milan che ha venduto l’attaccante, però bisogna sostituirlo degnamente per non indebolire la squadra».
Sappiamo che il Catanzaro è la sua seconda squadra per motivi familiari, nonostante sia nato a Reggio Emilia. Segue ancora le sorti della squadra giallorossa?
«Certamente, mio padre era nato a Guardavalle ed era un grande tifoso giallorosso, quindi leggo con piacere le notizie riguardanti il Catanzaro. Finalmente c’è una società solida, dopo anni di difficoltà e di questo sono contento. I tifosi sono passionali e credo che, con il presidente Cosentino, i giallorossi possano risalire la china. Ricordo la gioia di mio padre per la prima promozione in A avvenuta nel 1971 e poi il tanto entusiasmo grazie al presidente Nicola Ceravolo, a Palanca, Bivi, Mauro e tanti altri. Auguro le più belle cose alla compagine catanzarese e mi piace l’idea che la Curva festeggi ogni anno il compleanno di Massimo Capraro. Sarebbe straordinario ammirare il Catanzaro almeno in B, poi chissà…».
Biografia: Antonio Carioti (Reggio Emilia, 1961) lavora come caposervizio alle pagine culturali del “Corriere della Sera” e al supplemento letterario settimanale “la Lettura”. Tifa per il Milan da quando era bambino e ha l’abbonamento a San Siro dalla stagione 1986-87. Fino al 2004 abitava a Roma e quindi faceva la spola tra la capitale e Milano per seguire il Diavolo. Ha visto dal vivo la sua squadra in otto finali di Coppa dei Campioni e ne va molto fiero, perché nessuno juventino può dire altrettanto. Oltre a #incimaalmondo. Il manuale di chi tifa Milan, appena uscito da Fandango, ha dedicato alla sua passione rossonera il libro Con il Diavolo in corpo (Mursia, 2011). Per mestiere si occupa soprattutto di storia: è autore dei saggi I ragazzi della Fiamma (Mursia, 2011), Gli orfani di Salò (Mursia, 2008) e Di Vittorio (Il Mulino, 2004), di una Breve storia del presidenzialismo in Italia (Società Libera, 1997) e del pamphlet Maledetti azionisti (Editori Riuniti, 2001). Lo scorso anno ha curato per Laterza il libro Intervista sul potere con Luciano Canfora.