Certe occasioni capitano poche volte nella vita. Certi appuntamenti con la storia vanno scritti, col pennarello indelebile. E quest’Argentina è tutta da raccontare. Ma facciamo un passo indietro, perché questa nazione ha una storia calcisticamente particolare e una nazionale abituata a viaggiare sull’altalena. Prima un volo in alto nel cielo azzurro – come la loro divisa – e poi forti discese in picchiata. Una vita sulle montagne russe. E le cadute dell’Argentina, almeno nel campionato del Mondo, durano da quindici anni. Senza tante possibilità di rialzarsi definitivamente. Sono stati anni di insuccessi, di delusioni. Di mortificazioni, nonostante condizioni apparentemente favorevoli. Il crollo parte da Italia ’90, da quella maledetta finale persa contro la Germania Ovest. Negli occhi dei tifosi dell’Albiceleste c’è ancora il netto fallo da rigore non concesso su Dezotti e il conseguente penalty concesso ai tedeschi sul ribaltamento di fronte. A 7′ dalla fine, quando lo spettro della Coppa sta per indirizzarsi nel lato Ovest della Germania. Che al Mondiale successivo si ripresenterà unita, finalmente. Ma insomma, il ciclo argentino vantava già un curriculum di tutto rispetto. Basti pensare che prima di quella dannata finale italiana, Maradona aveva vinto da solo un Mondiale in Messico.

Negli States non vanno oltre gli ottavi, fermati dal loro uomo migliore: Diego Armando Maradona, squalificato per doping a manifestazione in corso. Poi i quarti di finale in Francia, l’eliminazione al primo turno in Giappone/Corea e ancora quarti di finale sia in Germania che in Sudafrica. Insomma, quest’anno l’Argentina proverà a tornare laddove la macchina si inceppa da quindici anni per viaggiare più lontano.

Oggi l’Argentina sfida la Svizzera. Ma torniamo al punto da cui eravamo partiti. Perché questo Mondiale è più importante degli altri? Si gioca in Brasile. E poi gioca Messi. Sembrano due frasi banali, vi assicuriamo che non lo sono.
Per gli argentini riuscire a profanare il tempio calcistico dei brasiliani, in una delle più storiche rivalità sportive, sarebbe un successo triplicato nel suo valore inestimabile. E poi è il primo tentativo. Un Mondiale si giocò già in Brasile, nel 1950. L’Argentina non vi prese parte e i brasiliani vorrebbero dimenticare in fretta il “Maracanazo” e quella clamorosa sconfitta in finale contro l’Uruguay. Perdere di nuovo – magari in finale – contro gli argentini creerebbe un’amarezza incredibile in un paese visceralmente aggrappato al calcio.

E Messi. Ora non può sbagliare più. Ha vinto tutto a Barcellona, questa volta sembra voler vincere il Mondiale – da solo – con l’Argentina. Una squadra con tante qualità offensive, allenata da un tecnico mediocre come Sabella, che non riesce a far rendere completamente i suoi giocatori. Francamente l’Argentina gioca male. Ha faticato, e non poco, contro Bosnia, Iran e Nigeria. Ma poi l’ha risolta sempre quel signore lì, chiamato Leo, che nei momenti topici è uscito dall’ombra e ha scatenato il suo immenso talento. Questo è un Messi diverso. Non ha costanti dialoghi con Iniesta e Xavi e sguardi al volo con Neymar. Questo Messi si sente solo. Ha tanti altri talenti al suo fianco, ma non si fida. Preferisce far da solo. Sa che le responsabilità ricadono su di lui. Sa che il paragone con Diego Armando pesa tanto. E adesso vuole vincere come lui. Trascinando, incantando e deliziando. Da solo. Contro tutti. E in Brasile, al Maracanà, vale tutto di più. Appuntamento con la storia. Argentina contro Svizzera. Messi contro Svizzera. Una vittoria per ripartire dal punto “massimo” degli ultimi quindici anni e ricominciare un nuovo Mondiale. Quello della Pulga. E basta.