Ha contribuito a scrivere la storia del calcio – non solo italiano – e le sue prodezze sono un ricordo che non può e non deve andar via: stiamo parlando di Roberto Baggio, il Divin Codino che festeggia cinquanta anni. Michel Platini lo definì un nove e mezzo per indicare le sue qualità a metà strada tra il goleador e il fantasista. Baggio fu questo e tanto altro, fu poeta del calcio e maestro di vita, mai banale in campo e fuori, eppure mai pienamente apprezzato per il suo reale ed immenso valore.
Nato a Caldogno nel 1967, sesto di otto figli, esordì in Serie A nel 1985 con la maglia della Fiorentina, che lo prelevò dal Vicenza per 2.7 miliardi di lire e lo mise sotto contratto per cinque stagioni. La sua classe non tardò a venir fuori dopo l’iniziale impatto nella massima serie. Nel 1988-89 segnò 24 reti, l’anno seguente altre 19: numeri che gli valsero il salto in un grande club, la Juventus, con cui rimase per altre cinque annate, le più splendenti della sua carriera.
Con le sue giocate contribuì ai successi dei bianconeri e fu chiamato in nazionale prima da Azeglio Vicini a Italia ’90, poi da Arrigo Sacchi per Usa ’94, il mondiale statunitense in cui il Codino, fresco di Pallone d’Oro conquistato qualche mese prima (il terzo italiano premiato con questo speciale riconoscimento) trascinò gli azzurri fino ad una storica finale (diciotto anni dopo l’ultima) a suon di gol, ben cinque.
Giornate magiche seguite da quella che, per il diretto interessato e per l’Italia intera, rimane come una delle più tristi sportivamente parlando, con quel calcio di rigore calciato alto che consegnò al Brasile il suo quarto Mondiale. Da lì il rapporto con la Nazionale non fu mai troppo idilliaco: per Francia ’98 fu protagonista di una dubbia staffetta con Alessandro Del Piero voluta dal ct Cesare Maldini; per Giappone-Corea 2002 non fu convocato da Giovanni Trapattoni malgrado sul campo continuava ad incantare tutti.
E per quanto riguarda i club, si assistette al paradosso che un campione del suo calibro fu spesso dirottato in squadre di provincia, da lui accettate in virtù dell’umiltà che tuttora lo contraddistingue: finita la storia con la Juventus e l’opacp biennio nel Milan alla fine del suo ciclo trionfante, trascorse un anno felice a Bologna, poi la parentesi di nuovo infelice all’Inter e, infine, gli ultimi quattro anni a Brescia, dove contribuì alla fortuna delle Rondinelle. Milan-Brescia, ultima giornata della stagione 2003-204, fu la sua ultima partita: lo stadio Giuseppe Meazza gli tributò una meritatissima standing ovation e il Brescia ritirò in suo onore la maglia numero 10.
Di magie Roberto Baggio ne fece tantissime. Qui vediamo dieci dei suoi gol più belli tra i quasi trecento realizzati in carriera.