Dici Roberto Baggio e dici calcio. Proprio 10 anni fa sul terreno di gioco di “San Siro” uno dei più grandi campioni del calcio italiano e mondiale appese i tacchetti al chiodo. Al “Meazza”, in quel Milan-Brescia del 16 maggio 2004 c’era anche un’altra leggenda, quel Paolo Maldini che abbracciò un commosso Baggio verso l’uscita dal campo. Tanti applausi, anche qualche lacrima di tifosi nostalgici di un calcio che, forse, non tornerà più. In quel momento se ne andava il “Divin Codino”, mica un numero 10 qualunque che si trova facilmente.
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Nato il 18 febbraio del 1967, “Roby” inizia la sua carriera calcistica nella squadra della sua città natale e si fa notare grazie al suo vellutato tocco di palla. A 13 anni, così, si trasferisce al Vicenza, squadra con la quale scende in campo 36 volte mettendo a segno 13 reti. La sua giovane età e un talento fuori dal normale, lo fanno trasferire alla Fiorentina, dove diventa sin da subito l’idolo della tifoseria viola. Con i “gigliati” Baggio colleziona 94 presenze e 39 gol, ma è il suo trasferimento alla Juventus, nel 1990, a far discutere. I sostenitori toscani, infatti, non vogliono vedere il loro campione con i colori degli odiati rivali bianconeri e cercano in tutti i modi di bloccare una cessione ormai prevista. Addirittura ci furono tafferugli per la città di Firenze e fino a Coverciano, ritiro della Nazionale che stava preparando il Mondiale italiano, che causarono diversi feriti.
Proprio su questi avvenimenti, l’allora procuratore del calciatore, Antonio Caliendo, narrò un gesto importante: «Mi ricordo ancora la scena: quando Baggio passò dalla Fiorentina alla Juventus, in conferenza stampa, davanti ai giornalisti gli misero al collo la sciarpa bianconera e lui la gettò via. Fu un gesto imbarazzante. Io dissi che il ragazzo andava compreso: era come se avessero strappato un figlio alla madre. Ammetto che, quella volta, rimasi molto colpito anch’io». La Fiorentina e Baggio erano una cosa sola ma, per 25 miliardi delle vecchie lire il presidente Pontello decise di acconsentire alla vendita del proprio calciatore. Passato alla “Vecchia Signora”, in pochi anni “Roby” vince tanti trofei e il Pallone d’oro nel 1993. A Torino, però, sono gli infortuni, più o meno gravi, a caratterizzare la permanenza di Baggio che, comunque, non molla e si toglie altre soddisfazioni come il suo primo Scudetto e la Coppa Italia.
Dopo 200 presenze e 115 marcature lascia la maglia bianconera per trasferirsi al Milan, ben lieto di accoglierlo a braccia aperte. Con Fabio Capello in panchina, Baggio vince il suo secondo tricolore, ma la sua esperienza col “Diavolo” non decolla del tutto, complici dissapori tattici con gli altri allenatori, Tabarez e Sacchi non entusiasti delle prestazioni del fantasista. Dopo il Milan, Baggio si trasferisce al Bologna, con il quale mette a segno 22 reti in 30 incontri. E’ il record personale di gol per il calciatore, felicissimo di poter far parte della spedizione azzurra per il Mondiale del 1998. C’è anche l’Inter nella lunga carriera del calciatore veneto, ma senza risultati roboanti.
Nel 2000, così, passa al Brescia e sotto la guida di Carlo Mazzone i risultati sono straordinari, ma un brutto infortunio nel 2002 gli chiude le porte al suo ultimo Mondiale, nonostante il suo recupero lampo dopo l’operazione al ginocchio. Fino al 2004, così, Baggio, gioca ancora con la “Rondinelle” fino a quella “triste” domenica di maggio, quando il numero 10 di una vita decide di dare l’addio al calcio giocato. Stagioni esaltanti grazie alla sua tecnica sopraffina, ma senza trionfi con la casacca dell’Italia, vera e propria chimera per il “Codino” anche per quel maledetto rigore sbagliato contro il Brasile a USA ’94. Non è, comunque, un tiro dal dischetto a rovinare una carriera fantastica di un calciatore che, ancora oggi, manca come il pane all’intero panorama calcistico internazionale. “Ah! da quando Baggio non gioca più…non è più domenica”. Come dar torto a Cesare Cremonini?