Ci sono favole a lieto fine. Quelle che leggi e già sai come andranno a finire, scontate e felici. Poi ci sono i sogni spezzati a metà, infranti dalla storia e dal destino. Il sogno della Roma nel 2010 si infranse contro Cassano e Pazzini, in casa contro la Samp, dopo una rincorsa meravigliosa all’Inter di Mourinho, che poi avrebbe vinto tutto.
Quel campionato per la Roma finì a Verona, mentre i nerazzurri giocavano a Siena. Anche questa, a modo suo, fu una favola. La favola di una squadra che seppe rinascere dalle proprie ceneri, volare verso mete insperate e sfiorare l’imponderabile. Quel giorno, in casa del Chievo, la squadra di Ranieri aveva solo una possibilità: vincere, sperando che l’Inter non lo facesse.
Come in tutte le favole, anche in questa c’è un principe. Anzi, ce ne sono tre, due buoni e uno cattivo. A portare la Roma in vantaggio al Bentegodi fu il principe di Niksic, Mirko Vucinic, all’epoca adorato dalla tifoseria romanista, molto prima che passasse alla Juventus. Un altro principe, futuro capitano e re di Roma, segnò il 2-0, portando la Roma ad un passo dal sogno. Sì, perché nel frattempo l’Inter pareggiava 0-0 a Siena, contro una squadra già retrocessa. Ma anche i nerazzurri potevano contare sull’apporto di un principe, quello argentino, che con un passo di tango segnò il gol che valse lo scudetto per la squadra di Mourinho. Non bastò ai toscani la voglia di Rosi, cuore giallorosso, che provò in tutti i modi a portare la sua squadra sul pareggio e a regalare così lo scudetto a una tifoseria troppo abituata a sfiorare il cielo con un dito negli ultimi anni.
Di quella partita, negli occhi del tifo romanista resteranno per sempre i volti dei propri beniamini, che avevano scalato la classifica fino ad arrivare a pochi passi dal tricolore; e quello striscione, issato nel settore ospiti, con quella frase che ancora oggi, a cinque anni di distanza, racconta l’attesa e la voglia di riscatto di una piazza immensa che sogna di diventare grande. To be continued…