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Non è stato solo uno degli eroi del Mondiale di Spagna 1982, ma anche la guida degli azzurrini capaci di vincere l’Europeo del 2004 e di salire, nello stesso anno, sul podio olimpico di Atene conquistando il bronzo. L’ultimo dei grandi commissari tecnici della nazionale under 21 è stato poi silurato ed ora si toglie qualche sassolino dalla scarpa per un momento del nostro calcio tutt’altro che esaltante: stiamo parlando di Claudio Gentile.

Nel corso di un’intervista concessa a TMW Magazine, l’ex solido difensore della Juventus  si dice sorpreso ma non troppo per la fase altamente negativa che sta vivendo il calcio italiano e ammette che non si aspettava “un crollo del genere”. Per una squadra abituata a stare ai vertici mondiali, la mancata qualificazione alla fase finale di un Mondiale non è soltanto un dramma sportivo, ma anche un disastro economico per l’intero paese.

Ma perché è accaduto tutto questo? I motivi sono vari, spiega Gentile, e tra questi c’è il fatto che molti non sono neppure “all’altezza di poter insegnare”, dal momento che non sono stati in grado di capire che bisogna investire su centri sportivi e scuole, dunque sui giovani.

E poi tanti calciatori non sanno cosa significa avere lo spirito di sacrificio e svolgere con passione il proprio lavoro. L’unico fattore che li spinge è il dio denaro, quello per cui molti talenti finiscono col perdersi dopo pochi anni al vertice. Il calcio è lo specchio della società, dunque, e se i ragazzi si comportano in tal modo è colpa dei genitori, il cui unico obiettivo è fare cassa: essi “hanno rovinato […] le discipline in generale”, commenta duro l’ex ct, che poi aggiunge come ai suoi tempi “i genitori non è che avessero tempo per venire a vederti e l’unico tuo punto di riferimento in campo era l’allenatore. Ascoltavi solo lui, senza che una mamma o un padre si intromettesse”.

Ma se Gentile ha la giusta ricetta ed è stato l’ultimo dei ct a vincere con l’under 21, perché è stato messo da parte? Per non essersi “piegato ai giocatori che mi raccomandavano, la mia era stata una politica di meritocrazia. E difatti ho vinto”. Così ricorda di quando ai suoi tempi giungevano pressioni da più parti affinché il proprio assistito giocasse le partite; ma la capacità di guardare davanti e andare dritto per la sua strada lo ha premiato e i risultati sono stati la prova più evidente.

La speranza è quella di poter allenare in Italia, ma per uno che dice sempre la verità, a volte scomoda, non è facile trovare spazio in questo Paese.