Antonio Conte è il nuovo commissario tecnico della Nazionale. E ha già lasciato alle spalle strascichi importanti di polemiche. L’ingaggio è notevole e il personaggio, mediaticamente e popolarmente, non gode – almeno da oggi – dell’approvazione generale. Da un lato la comune diceria campanilistica “è juventino ” e dall’altra quegli stessi juventini risentiti nei confronti della loro bandiera. Irritati dall’addio inatteso di un uomo, ancor prima che allenatore, verso cui lo stesso popolo bianconero si armerà di rancore per anni. E poi c’è chi vede il lato economico della cosa. C’è chi critica il suo essere pagato dagli sponsor. C’è chi critica i suoi dubbi prima della firma.

E noi partiamo da un presupposto, che si pone aldilà delle capacità tecniche dello stesso allenatore reduce da un trittico di grandi campionati italiani e da qualche figuraccia europea. Una media positiva, ma oltre la quale – per ora – non andiamo avanti.

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Primo capitolo: i soldi. I commenti inondano social network e giornali a sproposito. Detto che i soldi della federazione non provengono dalle tasche degli italiani, essendo il sistema privato, e specificato che l’economia che gira attorno al mondo-calcio è questa e difficilmente si cambierà, è bene specificare che Antonio Conte, direttamente dalla Figc, guadagnerà centomila euro in meno di Cesare Prandelli, per cui nessuno effettivamente aveva alzato un polverone simile. Con questo non vi stiamo dicendo che Conte intascherà poco, attenzione. E né lanciamo messaggi di solidarietà verso lo stesso. Vi diciamo, però, che la FIGC è rimasta attorno ai costi del suo predecessore. Un tecnico che ha ottenuto risultati discretamente buoni nei primi tre anni e pessimi nella fase conclusiva, dove ha trascinato l’Italia alla deriva (e non da solo). La rimanente parte del cachet di Conte, cioè il succo attorno a cui aleggiano le strane e stupide polemiche, è pagato da uno sponsor. Cioè un’azienda che con le proprie teste ha studiato una determinata strategia e ha deciso di investire delle risorse in un tecnico. E non vediamo perché Conte avrebbe dovuto rifiutare queste condizioni. Vantaggiose per lui, per la Federazione ed evidentemente per la stessa Puma che ha selezionato il proprio piano attendendo un ritorno.

Seconda voce: sponsor. Non è certo Conte l’inventore di questo sistema, da molti definito assurdo. Fu proprio Prandelli – in un’intervista rilasciata al bravo collega Biasin di Libero – a confessare di avere uno stipendio saldato per il 70% dagli sponsor e in una logica di aumenti che ha previsto cifre vicine, stando alle notizie riprese dalla Gazzetta, ai 3.2 milioni lordi annui. Ma nessuno vuole parlarne. Perché il sistema mediatico mira determinate persone e le colpisce, non preoccupandosi di studiare vicende della storia recente, ignorate o volutamente dimenticate.

Terza voce: i dubbi di Conte. Qualcuno ha parlato di dubbi. Non c’era nessuno di noi nei dialoghi intercettati tra Federazione, Puma e Conte. C’è una cosa però che va evidenziata ed è una solamente. Antonio Conte, come tutti, allena per lavoro. Rientra nella cerchia dei professionisti. E non sono le dinamiche di cuore e di patriottismo che devono spingere un tecnico a sposare il progetto obbligatoriamente. Devono esserlo le garanzie tecniche ed ovviamente anche economiche. Perché in questo mondo tutti proveranno a tirare l’acqua verso il proprio mulino. Perché è il sistema calcio, cambiato da anni, e va accettato così com’è. Non c’è via di uscita. Nessuno avrà mai voglia di tornare indietro. I romantici del pallone sono una razza estinta, almeno tra gli addetti ai lavori. Guardiamo il calcio con più cinismo e forse diventerà più facile lavorare. Il mondo pallonaro è solo questo. E lo è anche per Antonio Conte.