L’ordine d’arrivo della Parigi Roubaix ha riportato l’Olanda sul grandino più altro del podio 13 anni dopo Servais Knaven. Lo stesso ordine d’arrivo che in Italia ha segnato l’ennesima scintilla per le polemiche sui risultati azzurri: 50° Pozzato, 72° Longoborghini, 74° Paolini. Il ritratto del ciclismo italiano nelle classiche monumento degli ultimi anni è impietoso oltre che pietoso, l’ultima vittoria con il terzo Lombardia di Damiano Cunego nel 2008. Ma a cosa serve mettere alla berlina la crisi del ciclismo italiano nel post gara?
Era noto che Luca Paolini (KAT) avrebbe corso in appoggio al compagno di squadra Alexander Kristoff, Matteo Trentin (OPQS) aveva ben tre capitani Boonen-Terpstra-Stybar. Ci siamo aggrappati ancora una volta a Filippo Pozzato (Lampre), sulla fiducia, ed a Sacha Modolo (Lampre) che però ha poca esperienza sul pavé. Una sconfitta annunciata. Il ciclismo italiano, ad oggi, non ha gli stessi fari di un tempo, la crisi è nota da anni ed anziché continuare la costruzione di questa valle di lacrime si deve discutere e ancor di più agire per cambiare passo, per rimediare, per concretizzare le basi di un futuro da protagonisti.
Per misurarsi con i pavè, gli sterrati ed i muri ci vuole carattere e determinazione ma anche esperienza e caratteristiche atletiche specifiche. In questa catena di montaggio chiamata ciclismo i corridori sono l’ingranaggio più evidente ma son solo l’ultimo dei pezzi di una macchina molto più complessa. Un corridore, per quanto razionale e lucido, non riuscirà mai ad analizzarsi con gli occhi esperti ed oggettivi di un tecnico. Un corridore, per quanti sforzi possa fare, è relativamente impotente di fronte alle scelte del team ed alle possibilità economiche, logistiche e di partecipazione della squadra stessa. Un corridore non ha potere di fronte alla “morte” delle corse Under 23 che hanno plasmato i campioni delle generazioni precedenti. L’esame di coscienza spetta al movimento, la crisi del ciclismo italiano non si può tradurre in crisi dei ciclisti, qualunque sia il problema, dal doping alla mancanza di risultati, le dita sono sempre puntate verso i corridori.
Non si possono pretendere risultati da un corridore professionista chiamato a confrontarsi, per la prima volta, con un terreno infernale come il pavè. Molto più sensato ritornare alle basi, al ciclismo giovanile, ai velodromi, dare ai nostri talenti la possibilità di crescere in modo sano. È facile dire “non abbiamo vinto” ma è più costruttivo guardarsi dentro e chiedersi il perché. Se la maggior parte delle corse riservate alle categorie giovanili è stata cancellata dal calendario per motivi economici, i velodromi che hanno fatto la storia del nostro movimento sono in disuso e i ragazzi che si avvicinano a questo sport sono infervorati e “bruciati” dai genitori in primis, e da qualche direttore sportivo poco serio in seconda battuta, con tutte queste premesse deleterie come si può pretendere che i nostri portacolori vincano e stravincano in giro per il mondo?
In questo quadro ci sono due facce di una medaglia chiamata Federazione Ciclistica Italiana. I dirigenti, Dio ce ne scampi, sono gli autori di battute infelici e scelte scellerate. Le soluzioni per uccidere la crisi del ciclismo e risollevare questo sport ci sono, ma in quei palazzi ci tengono troppo alle poltrone per scomodarsi. Il risvolto positivo si chiama Davide Cassani, neo ct della nazionale. L’impressione è che l’ex corridore, per anni voce della Rai, abbia a lungo lucidamente osservato, da una prospettiva privilegiata, il ciclismo in tutte le sue forme ed in tutte le sue problematiche, ed oggi che ne ha gli strumenti è passato ai fatti. A margine della conferenza stampa della Classicissima di primavera degli Under 23, il GP Liberazione, ha dichiarato ai microfoni de La Repubblica
“Non siamo morti, il nostro ciclismo è ancora ai vertici mondiali. Sta di fatto che se fino a qualche anno fa dominavamo la scena ora stiamo un po’ soffrendo, soprattutto nelle corse di un giorno, perchè nazioni che prima non esistevano sono ora molto forti. Il ciclismo è cambiato tanto in questi anni, in peggio in Italia se si pensa che non ci sono più prove importanti che possano dare ad un giovane la possibilità di crescere in modo corretto, parlo ad esempio del Giro delle Regioni come di tante altre corse a tappe che adesso non ci sono più. Di squadre fortunatamente ce ne sono ancora tante, la base è ancora bella solida però siamo forse rimasti un po’ indietro chiudendoci in Italia senza dare ai nostri corridori la possibilità di fare esperienza all’estero. Non essendoci tante corse a tappe, e considerando che molte non sono durissime, diversi ragazzi arrivano al professionismo impreparati. Ci sono tanti giovani interessanti tra i professionisti: Modolo, Trentin, Battaglin, Colbrelli, poi ci sono ragazzini di quarant’anni che riescono ancora a vincere come Petacchi che sono degli esempi. Non possiamo dimenticarci della nostra bandiera Nibali che non sarà al Giro ma speriamo possa vincere il Tour de France. E’ fondamentale puntare sui giovani, per questo la Federazione ha cominciato un cammino per avere una visione più completa e approfondita sul mondo giovanile. Abbiamo già organizzato dei ritiri per junior e under 23, abbiamo portato le nostre nazionali a correre il Giro delle Fiandre under 23 e la Roubaix junior per cercare di fare esperienza. Obiettivo il Mondiale di Ponferrada, settimana prossima andrò con quattro corridori a visionare il percorso per prendere un pò di dati e a giugno tornerò probabilmente con un altro gruppo, sempre a giugno farò un mini-ritiro prima del campionato italiano”.