C’è qualcosa che non va. Se 5.000 tifosi del Feyenoord possono mettere in ginocchio Roma capitale c’è qualcosa che non va. E i conti non tornano. La guerra dichiarata dalle istituzioni italiane al movimento ultras dopo i fatti di Palermo-Catania che portarono 8 anni fa all’uccisione dell’ispettore di polizia Filippo Raciti è stata, fin da subito, una guerra persa in partenza. Le misure restrittive, o presunte tali, non hanno sortito nessun effetto, se non quello di velocizzare oltre ogni limite ragionevole la diminuzione costante del numero degli spettatori negli stadi.

La tessera del tifoso introdotta e imposta nella stagione 2010-2011 non ha raggiunto lo scopo incostituzionalmente prefissato di punire a vita i soggetti sottoposti a Daspo. Ma ha diminuito esponenzialmente il numero degli abbonati, in virtù della controguerra lanciata dagli ultras al sistema fidelistico che non ha mai convinto del tutto i tifosi. La tessera non ha dato garanzie alle forze dell’ordine, e non ha aumentato nemmeno la “schedatura” dei tifosi, in quanto per rilasciarla bastano gli stessi dati che servono per un comune biglietto di una singola gara.

Probabilmente ci avranno guadagnato le banche, ma non si hanno dati certi sul fatto che la tessera del tifoso abbia creato introiti agli istituti di credito ai quali era stata abbinata. Di certo se sono diminuiti gli incidenti allo stadio non è dovuto alle misure restrittive ma al fatto che il calcio è diventato sempre più uno sport da salotto piuttosto che da gradinata. La stagione 2009-2010, l’ultima nella quale ci si poteva abbonare ad una squadra di Serie A senza avere la tessera del tifoso, aveva visto oltre 25.000 spettatori di media ad incontro. Oggi la media è di 21.000 circa. Una diminuzione di quasi il 20% che riporta in auge quel vecchio verso nel quale Tacito sentenziava: “Hanno fatto un deserto, lo hanno chiamato pace”.

Il ministero dell’Interno, allora capeggiato da Roberto Maroni e oggi da Angelino Alfano, ha ridotto il problema della violenza negli stadi alla tessera. E ai divieti costanti e numerosi che si abbattono sulle gare “a rischio” delle serie minori, dove è più frequente una partita vietata ad una tifoseria che una con gli spalti pieni. Nessuna misura permanente, e la voglia matta di aggirare il problema. E di non prenderlo mai di petto. Tanto che poi quando capita qualcosa come un numero nutrito di tifosi del Feyenoord viene inviato tranquillamente nel centro storico di Roma, rifiutando soluzioni esterne. Secondo i mal pensanti per provare ad approfittarne per l’economia capitolina, secondo i più “ingenui” per incapacità. Il sistema calcio resta nella barcaccia. Che affonda.