Ho incontrato Ugo, al bar. L’ho incontrato ieri sera, dove vado a bere una birra quando non ho molto da fare. L’ho salutato, ma mi ha sorriso, troppo soddisfatto: “Hai visto De Sanctis? Lui sì che dice la verità”. E ha iniziato a parlare, di un qualcosa che presumo lui pensasse fosse calcio, ma era tutt’altro. Erano un’infinità di cattiverie, sotterfugi, calciatori che scommettono cose improbabili, e soldi sporchi. Ed è tornato a parlare di quel Juve-Roma di 10 giorni fa.
Avrei voluto parlare di calcio ieri sera, ma avrei voluto pregustarmi la sfida, a distanza, di Sabato prossimo. Perché sarò stupido io, ma non ho ancora capito chi è più forte tra Roma e Juve, ed è al momento l’unica curiosità calcistica che ho. Ma mi è andata male, perché ho incontrato Ugo. E tanti altri come lui, che non riescono proprio a parlare di calcio. Perché sono attratti da altro, e forse la magia del gioco più bello del mondo non la capiranno mai. E mi scuserà Ugo se l’ho tirato in mezzo.
Ma il motivo di fondo è che queste cose me le aspetto da Ugo, che è al bar con la sua birra, e quando ha finito di sparare cattiverie in serie si alza e va a pagare anche la mia. Sarà perché ho sorriso, senza rispondere. Non riesco ad aspettarmele da De Sanctis, da un consigliere federale, da un portiere di Serie A. Da Morgan De Sanctis, perché è Morgan De Sanctis. E ha avuto la fortuna di scendere in campo in Juventus-Roma. E vorrei che spiegasse tante altre cose, per soddisfare la mia unica curiosità calcistica. E invece si parla di storie vecchie, di cattiverie. Di un sistema improntato al terrorismo psicologico verso l’arbitro. E di un qualcosa che è troppo distante dal mio calcio affinché io possa addentrarmi nella questione. E De Sanctis mi ha ricordato Ugo. Povero Morgan.