Il basket è uno sport meraviglioso. Come tutti gli sport, ha il potere di regalarti storie incredibili, alchimie fantastiche ed emozioni indimenticabili. Ma sopratutto ha l’incredibile potere di unire popoli e culture sotto il tetto di una grande passione. Domenica si è concluso EuroBasket e nella nostra memoria rimarrà impressa la vittoria di una Spagna trascinata da un meraviglioso Pau Gasol. Ma nel cuore di molte persone la vera vincitrice è stata una squadra che ha rappresentato una nazione di 320 mila abitanti circa, meno della popolazione di Bari: l’ Islanda ci ha dimostrato che si può vincere un Europeo anche perdendo tutte le partite perché non mollare mai, rendere orgoglioso il tuo paese e far commuovere il resto d’Europa ha un valore non quantificabile.

Giunti incredibilmente per la prima volta alla fase finale di un Europeo, al sorteggio la fortuna si è girata di spalle: Germania (padrone di casa), Italia, Spagna (vice campione olimpica e futura medaglia d’oro europea), Turchia e Serbia (vice campione mondiale). Considerata come la squadra materasso non solo del girone ma dell’intera manifestazione, ha smentito i pronostici: nonostante non sia riuscita mai a vincere, ha mostrato il miglior gioco dell’intero Europeo viste le qualità del roster portando la Turchia ai supplementari (in una delle partite più divertenti del torneo) e facendo soffrire fino alla fine Germania e Italia. Guidata dal canadese Craig Petersen, ha giocato un basket veloce, frizzante e sprezzante del pericolo: nessuna paura di un tiro da tre affrettato, pochi blocchi e tanto penetra e scarica, tutti i giocatori in campo sempre in movimento e uno spirito di gruppo invidiabile. Il loro tipo di basket è fantastico da vedere ma non vincente non solo per la poca quantità di talento ma anche per la scarsa altezza, dato che solo due giocatori sono oltre i 2mt: uno è Hlynur Bæringsson (2,02, ha studiato in un college americano), l’altro è l’MVP dei tifosi della manifestazione; in poche parole, se fosse vissuto una ventina di anni fa sarebbe stato vittima della Gialappa’s: 218cm di simpatia e di mancata coordinazione, Ragnar Nathanaelsson! Si è fatto riconoscere subito, al suo primo ingresso in campo contro la Serbia: garbate time, ha l’occasione della vita; la sua grande impresa non è stata sbagliare un tap-in, ma addirittura 4 consecutivi.

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Il vero leader in campo è stato Jon Arthur Stefansson, 33 anni, con vissuti in Italia a Napoli, Roma e Treviso: se in queste località ne parlano soltanto bene un motivo ci sarà, cuore d’oro se ne esiste uno. Accanto a lui, tante guardie con grande range di tiro ed energia da vendere sul campo: Pallson, cresciuto anche nella Stella Azzurra Roma, Vilhalmsson, Gunnarsson, e Sigurdarson. Accanto a loro, tanta gente che vive il basket come un hobby e che ha dovuto prendere le ferie per partecipare all’Europeo, come Ermolinskij, definito da molti italiani presenti a Berlino “Pavel o’macellar”.

Ma il bello di questa storia risiede in altro. Perché se l’Islanda è nel cuore di molti è per il suo pubblico, al quale dare un aggettivo potrebbe sembrare riduttivo. Perché non mi sembra giusto associare un aggettivo all’invasione islandese giunta a Berlino: 2000 persone sorridenti, festanti, vestite tutte con la maglia da gioco dei propri beniamini, che hanno incitato i loro ragazzi dal riscaldamento della prima partita fino a 20 minuti dopo della fine dell’ultima partita, lì dove l’ Islanda, trascinata da un intero popolo, ha rischiato un incredibile miracolo, portando la Turchia ad un incredibile supplementare con un canestro da 3 di Gunnarsson, salvo poi crollare al supplementare dopo una partita irreale, al termine del quale i tifosi islandesi intonavano “Eg er komin heim”, che vorrebbe dire “sono a casa”. E questo momento è il simbolo di un popolo, isolato dal resto del mondo, che vive in un posto freddo ma imperversato da vulcani e geyser, con altopiani desertici e ghiacciai: un popolo fiero, mai domo, orgoglioso delle proprie origini. Per chi ha vissuto quel momento, rimane la commozione: i giocatori, in mezzo al campo, assorti come in un sogno a godersi lo spettacolo; noi, spettatori neutrali ma non troppo, con la consapevolezza di essere persone fortunate, per aver vissuto uno spettacolo del genere.

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