Stessa città, stessi colori sociali, nome molto simile: la storia, però, è completamente diversa.
Tutto comincia poco meno di dieci anni fa quando migliaia di sostenitori del Manchester United, delusi per l’avvento del miliardario statunitense Malcolm Glazer al timone del club, decidono di reagire ed opporsi concretamente alla deriva del calcio, che stava trasformando lo sport più bello del mondo in un mero business economico.
L’idea, antica ed allo stesso tempo rivoluzionaria, era quella di riportare centro della gestione della società i tifosi. Che sarebbero stati i veri protagonisti a trecentosessanta gradi, diventando soci e partecipando attivamente ad ogni singola fase della vita del club. Lo stesso concetto dell’azionariato popolare, ma con un coinvolgimento ben più importante. E così, dopo un emozionante incontro all’Apollo Theatre di Manchester in cui vengono raccolte oltre mille firme a sostegno dell’iniziativa, nasce il Football Club United of Manchester. In barba allo scetticismo di chi (come Sir Alex Ferguson) pensava fosse un fenomeno mediatico destinato a scontrarsi con la realtà, a luglio 2005 vengono depositate in banca oltre centomila sterline, grazie al contributo entusiastico di migliaia di supporters. La squadra riesce così ad iscriversi alla North West Counties Football League, una sorta di decima serie rispetto alla Premier, il riscontro del pubblico è impressionante, e già nella prima stagione la media spettatori supera le duemila presenze a partita. Si gioca al Gigg Lane, storico impianto del Bury: in nove anni i Red Rebels conquistano tre promozioni e raggiungono la Northern Premier League, i consensi aumentano in modo esponenziale e presto nasce l’esigenza di costruire uno stadio di proprietà per accogliere sempre più persone. Viene individuato un terreno a Moston (un sobborgo di Manchester) e approvato un progetto da 5,5 milioni di sterline, che viene finanziato con la straordinaria generosità di sostenitori o semplici simpatizzanti attraverso un Development Fund. Il resto è storia di questi giorni: lo stadio è praticamente terminato, e verrà inaugurato a dicembre 2014.
Ma come funziona concretamente l’F.C. United of Manchester? La risposta è molto semplice: i proprietari sono i tifosi, che aderiscono pagando una quota annuale di dodici sterline (tre per i bambini) ed acquisiscono lo status di soci, partecipando a tutte le decisioni della società con uguale diritto di voto, indipendentemente dal numero di quote acquistate (è possibile una membership pluriennale). Di fatto, è un azionariato popolare con un funzionamento simile a quello di una organizzazione no profit. Le sponsorizzazioni, ad esempio, vengono accettate a titolo di donazione, a patto che nessun marchio venga riprodotto sulla maglia di gioco. I lavoratori sono tutti volontari, fatta eccezione per il segretario e il general manager. Questo sistema permette ai Red Rebels di poter contare su un budget di tutto rispetto, con numeri che farebbero invidia a diversi club di categoria superiore.
Quello che sembrava un sogno utopistico di creare dal nulla una società sostenibile nel lungo periodo, gestita democraticamente dai suoi stessi tifosi e completamente autosufficiente dal punto di vista economico, si è trasformato in una splendida realtà. Indipendentemente dalle legittime ambizioni dei supporters, che aspirano ad affrontare presto United e City nei campionati professionistici, è difficile prevedere quali saranno le prospettive future dello United of Manchester. Una cosa, però, è certa: la storia dei Red Rebels è un esempio straordinario di come il calcio possa prescindere dal business, riconciliandosi con i valori genuini dello sport, con la tradizione, con il senso di appartenenza ad una comunità.