Questa storia della pancia piena è tipica del XXI secolo. Insomma, questi cicli spettacolari, frizzanti e sopraffini sono fatti per vincere tutto e poi crollare vertiginosamente quattro anni dopo, nel Mondiale successivo. Sintomo che, insomma, in quattro anni le cose cambiano e possono rivoluzionare il modo di concepire calcio di una squadra. Oggi è toccato alla Spagna, che dopo aver stravinto Europei, Mondiali, coppe del nonno, briscola e tutto ciò che si poteva vincere, si umilia sola soletta. E lo fa prima perdendo (per usare un eufemismo) 1-5 contro un’Olanda fenomenale davanti ma con un’attrezzatura modesta in mezzo al campo (dove Iniesta & Co. dovrebbero primeggiare) e poi cedendo il passo, nel tempio del calcio brasiliano di Rio – al Maracanà – al Cile. La vera “roja”, ricordava Federico Buffa. La roja che per la prima volta nella sua storia può esultare contro la Spagna. E strappa il pass per gli ottavi dei Mondiali. Meravigliosa storia.
Il ciclo della Spagna, dicevamo. Stessi uomini, risultati diversi. Perché? Sono tanti i motivi. Il primo è un fattore anagrafico che inevitabilmente regala crolli di lucidità. Insomma, non tutti si chiamano Andrea Pirlo, che più invecchia e più diventa forte.
Il secondo, già preso in analisi dopo l’1-5 con Van Gaal, si chiama “modello stampino”. La Spagna, eccezion fatta per Messi (non l’ultimo arrivato), si è spesso basata su una raccolta di figurine del Barcellona e qualche “innesto” dal Real Madrid. Ed effettivamente, quando il Barcellona girava a meraviglia tutto andava secondo i piani. Oggi che i catalani non reggono certi disumani ritmi, anche Del Bosque ha visto sotto i suoi occhi un ridimensionamento clamoroso. Ma il punto è un altro. Ed è il denominatore comune della storia recente dei Mondiali di calcio. Ha un solo nome: motivazioni. Dopo che vinci tutto, la pancia si gonfia. E scendi in campo inevitabilmente con una condizione di onnipotenza calcistica che niente e nessuno, pensi, potrà fermare. Sbagliato. Tutto sbagliato. Le partite durano 90′ e partono da 0-0. Tutte. E la Spagna non è certo la prima in assoluto a scendere dal piedistallo per ritirarsi a meditare su quanto sbagliato.
Non dimentichiamo che questo fenomeno ha bagnato di lacrime la nostra pelle. È successo all’Italia di Marcello Lippi. Quella che trionfò in alto al cielo di Berlino, per il rigore di Grosso. Per il gol di Del Piero e i pianti dei tedeschi. Per i colpi di testa di Toni, la grinta di Gattuso e il “Cannavaro” di Caressa. Sì, quell’Italia lì. Ecco, quella forse fece anche peggio della Spagna, pur non avendo i talenti di Del Bosque. L’Italia successiva, in Sudafrica, cambiò parte dell’assetto e riuscì anche a perdere la faccia. Il pareggio in rimonta con il Paraguay fu il massimo risultato. Poi un 1-1 a dir poco scandaloso contro una squadra di “calciatori per hobby” come la Nuova Zelanda e una sconfitta umiliante dalla Slovacchia di Kopunek. Non Maradona. E anche noi, ai gironi, salutammo.
Nel 2006 non lasciò già ai gironi il Brasile, che però la sua bella pancia piena l’aveva già costruita dopo il successone del 2002. Passò le fasi finali, ma poi steccò. Perdendo proprio contro la finalista Francia, ispirata dalle giocate di Zidane e dai gol di Henry. Insomma fu il Brasile più atteso, ma clamorosamente brutto quello che segnò la fine di un ciclo ancora in attesa di esser riaperto definitivamente. E lo testimonia ciò che vediamo in questi giorni, fatali anche per “O Brasil” ancora galleggiante, ma con pochissime risorse.
E poi il 2002. La Francia è reduce da un Mondiale vinto in casa propria. Con classe, con superbia. Contro il Brasile. Per 3-0. Eppure in Corea succede l’impensabile. Anche loro sembrano colti da un delirio di onnipotenza. Aprono le danze con una clamorosa sconfitta firmata Senegal davanti a 62.000 spettatori. Poi non vanno oltre lo 0-0 contro l’Uruguay, altra eliminata, e cedono pure il passo alla Danimarca. 2-0 e a casa. Con un punto. Senza nessuna rete realizzata. Da ultimissimi della classe.
In fondo la pancia piena è un vizio che il calcio del 2000 ha praticamente imposto alle sue squadre. Mai nessuna è riuscita a replicarsi con risultati quantomeno dignitosi e tre squadre su quattro escono fuori ai gironi. La Spagna, l’ultima, lo fa addirittura con una giornata di anticipo. Son numeri pazzeschi. Ma è tutto vero.