Una premessa: questo pezzo non sarebbe piaciuto a George Best. Perché era uno che la mia categoria la odiava, e perché sono caduto nell’errore prima ancora di cominciare. Voglio raccontare la storia del “beatle” del calcio, di un ragazzo tutto eccessi e fantasia. E tornerò poco, troppo poco, sulle sue giocate, sui suoi gol e sui suoi trofei di quanto avrebbe voluto. Ma espletata la premessa d’obbligo mi importa poco.

George Best è morto a 59 anni. George Best era un bel ragazzo, tanto bello che se fosse stato brutto non avremmo mai sentito parlare di Pelè, come amava dire. E quel 20 Novembre di 9 anni fa uscì in prima pagina sul News of the World, un tabloid inglese, con lo sguardo sofferente e un appello: “Don’t die like me” (trad. “non morite come me”). Aveva gli occhi gialli, e quasi assenti. E degli strani tubi sul corpo, per chi l’aveva sempre visto con una maglietta giocare a calcio. Ma George Best era questo e morì il 25 Novembre di quel 2005.

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Era un ragazzo venuto alla ribalta nel ’68, con i capelli lunghi e un talento molto particolare. Con i piedi sapeva fare quello che voleva. Forse uno dei 5 più grandi di sempre, di tutti i tempi. E con una maledizione: l’alcol. E la bella vita. Le aveva provate tutte: si era fatto cucire delle capsule di Antabuse nello stomaco, e ogni liquido alcolico ingerito provocava dolori indicibili, ma non aveva funzionato. Aveva smesso, ma erano stati i 20 minuti peggiori della sua vita, come ammise qualche tempo dopo in una delle tante citazioni diventate leggenda. Ha dormito in spiaggia, per bere da qualche parte nella notte. Quella stessa spiaggia che diceva di non sapere come fosse fatta, perché prima di arrivarci c’era un bar, e si era sempre fermato lì.

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Già, la vita di George Best si è fermata in un bar. Dopo aver vinto una Coppa dei Campioni mentre in buona parte del mondo gli Hippie ribaltavano il sistema. O almeno ci provavano. E ci provò anche Best. Che non era come gli altri. Era spontaneo, e quasi si meravigliava quando i giornalisti volevano sapere come passava le proprie giornate. Gli brillavano gli occhi quando parlava dei propri gol, o quando tirava fuori una qualche frase ad effetto (come quella sul Q.I di Gascoigne: “Una volta chiesi a Gascoigne quale fosse il suo Q.I. e lui mi chiese cosa fosse un Q.I.) come fosse un dribbling dei suoi. Abbassava lo sguardo quando raccontava di quella dipendenza dall’alcol, e dell’unico nemico che non era riuscito a sconfiggere.

Ci sono delle storie che devono andare così, e non conoscono altri finali. Nel rivedere Best in quel letto c’è l’impressione che non potesse andare diversamente. Era la sua vita, ed è stata la sua morte. Quella che chi ama il calcio non può dimenticare. E Youtube ogni tanto allevia il dolore del ricordo, guardando uno dei più grandi calciatori di sempre. Ritrovandoci a chiederci cosa sarebbe stato se quei 20 minuti di astinenza fossero stati 20 anni. Anche solo per vedere qualche dribbling in più e una carriera al top un po’ più lunga. Ma non sarebbe stato George Best. Per lui era probabilmente tutto già scritto, e alcune cose se l’è lasciate sfuggire. Non solo Miss Canada, Miss Universo e qualche altra donna che non aveva conquistato (poche, in realtà), ma anche gli anni che sarebbero ancora venuti. E quell’appello “Don’t die like me” risuona ancora oggi forte. Dell’unica partita mai vinta, di chi ha giocato la propria vita da Best. Il migliore.

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