Il Rijeka è una squadra croata. La sua bacheca, pur non essendo fra le più ricche in Europa, è comunque rispettabile: vanta due coppe di Jugoslavia e tre coppe ed una supercoppa di Croazia in 69 anni di storia. Il Rijeka è stato fondato nel 1946. Prima la città che dà il nome alla squadra si chiamava Fiume, ed era italiana. La sua annessione alla Jugoslavia fu formalizzata il 10 febbraio del 1947 nel Trattato di Pace di Parigi.
Proprio tale data fu scelta nel 2004 dal governo italiano per istituire ufficialmente il Giorno del Ricordo per rendere onore a tutte le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata, atroci avvenimenti che sul finire del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra sconvolsero le vite di decine di migliaia di famiglie italiane. Nelle foibe, grandi e profondi inghiottitoi carsici, vennero infatti gettati 30mila italiani, vittime di pulizia etnica, per mano dei partigiani e dei titini. Venivano legati a due a due, schiena contro schiena. In ciascuna coppia il più fortunato veniva freddato al momento, l’altro lanciato a peso morto nella foiba, condannato a morire di dolore e di stenti. Nel frattempo, tutti gli italofoni furono costretti ad abbandonare le proprie case e la propria storia, spediti via dalla terra che li aveva visti nascere e crescere per vivere un esilio forzato nei più disparati Paesi stranieri. Insomma, non fisica, ma comunque una forma di morte. Una tragedia per troppo tempo oscurata, che ha cambiato il corso della storia d’Italia. E ha cambiato il corso della storia di Fiume e del calcio in città.
Prima del Rijeka c’era l’Unione Sportiva Fiumana. Per 19 anni, dal 1926 al 1945, i rossogialloblù, nati dalla fusione tra Olympia e Gloria, calcarono i campi del Belpaese, perfino con un apparizione in massima serie decisa d’ufficio dalla FIGC. Tra i tanti giocatori che hanno indossato la maglia della Fiumana, quattro campioni indimenticati: Rodolfo Volk, punta storica della Roma; i due fratelli Varglien, uno dei quali campione del mondo nel 1934, entrambi passati poi alla Juventus; Ezio Loik, l’elefante, protagonista con Valentino Mazzola delle vittorie e della tragica fine del Grande Torino.
Protagoniste nella nostra serie C furono anche l’Associazione Calcio Dalmazia, squadra di Zara, e il Calcio Club Giovanile Isola, società di Isola d’Istria, che oggi, unico caso del genere, è ancora in attività e milita nel campionato di 3 liga slovena con il nome di Mladinski Nogometni Klub Izola.
Chi invece riuscì nell’impresa di conquistarsi la promozione in serie B fu il Gruppo Sportivo Fascio Giovanni Grion, più comunemente conosciuto come Grion Pola. La squadra della città istriana deve il suo nome a Giovanni Grion, caduto nel corso della prima guerra mondiale. Tale squadra adottò una maglia nera con una stella bianca sul petto, motivo che portò alla ribalta i suoi giocatori con l’appellativo di nerostellati. La stella ha una storia affascinante e particolare. Dopo la fine della Grande Guerra a Pola si formarono le prime squadre d’azione dei fasci di combattimento. All’arrivo in porto di una corvetta e di un sommergibile americani, gli arditi in maglia nera (coloro che appartenevano ai fasci) videro sbarcare da queste dei marinai americani che iniziarono ad ubriacarsi nei bar locali e a molestare donne e ragazze attaccando ai muri banconote italiane in segno di scherno. I ragazzi decisero allora di inseguirli fino alle navi, senza successo. Il giorno dopo, al ripetersi delle stesse scene, gli arditi ci riprovarono. Uno di loro riuscì a salire sulla nave e a staccare una stella da una bandiera americana, appuntandosela al petto. Così i giocatori del Grion, in memoria di quell’episodio, decisero di indossare la loro maglia storica. Nel Grion iniziò la sua carriera Antonio Vojak, che in Italia ricordano con un cognome diverso, Vogliani, giocatore tra le altre di Lazio, Juventus e Napoli, con una presenza in nazionale.
Oggi, 10 febbraio, ricordiamo una delle pagine più oscure della nostra storia. Una pagina che ha dimostrato come l’uomo sappia distruggere e dividere quello che i valori, anche quelli dello sport, sanno costruire e unire. Bisogna ricordare ogni esempio, sia quelli atroci che quelli positivi, per credere in un futuro a misura dei sogni.