Pioggia, vento e 187 chilometri, in bici, da Armagh a Dublino. Chilometri passati a tenersi asciutto, per quanto possibile, e lucido. Il traguardo, le lacrime, l’asfalto bagnato e lui riverso al suolo, sfiancato dall’emozione, svuotato da uno sprint titanico, chiuso per un attimo nel suo mondo per realizzare che oggi è il suo compleanno e lo sta festeggiando al Giro d’Italia, con una volata regale, al comando della classifica a punti, ha vinto ieri, ha vinto oggi, la maglia rossa è sua. Chissà se mentre il suo corpo era avvolto dalla divisa pregna di pioggia e sudore Marcel Kittel ha pensato al traguardo, chissà se nella sua testa ha creato l’immagine di una torta gigante ad aspettarlo oltre la linea dell’arrivo.

L’emozione trapela dai suoi occhi, dalla sua voce, è solo e semplicemente felice, tutto il resto non conta. Arriva ai microfoni della Rai, per l’intervista in diretta, senza neanche togliere il caschetto, sorride, dopo 187 chilometri di pioggia, ancora fradicio, sorride. La felicità genuina di un ragazzo di 26 anni che in carriera ha già vinto tanto, ha alzato le braccia al cielo degli Champs Élysées ma non ha perso la capacità di sentire la magia di ogni traguardo, l’emozione di ogni vittoria.

È il Giro d’Italia dei compleanni, fin qui ottimamente festeggiati. Oltre ai ventisei anni di Kittel, con doppio podio e maglia rossa, la prima tappa ha visto in maglia rosa Svein Tuft, nel giorno delle sue trentasette candeline. Un canadese che qualche anno fa, essendo indietro con la preparazione, ha deciso di andare al ritiro della squadra in bici: 2 mila chilometri da Vancouver al sud della California, solo con il suo cane Bear e l’attrezzatura da campeggio per trascorrere la notte. E dire che Tuft non è esattamente nuovo a cotanta follia. A quindici anni ha lasciato la scuola per cominciare a vagare, sempre con il fido Bear, senza una vera meta, prima a piedi e poi in bici, senza bagagli, dormendo dove capita. Una passeggiatina che ha portato i due avventurieri fino all’Alaska ed un epilogo che non ha nulla da invidiare alla migliore pellicola cinematografica: Tuft comincia a lavorare in un negozio di biciclette e della bicicletta farà il suo mestiere. Alla faccia di chi dice che nel ciclismo mancano i “personaggi”.