“Abbiamo sicuramente cancellato l’immagine lasciata all’andata. Loro non hanno fatto granché, peccato per i due gol: noi abbiamo costruito delle occasioni, ma Neuer ha fatto grandi parate”. Della tre giorni europea vissuta dalle sei rappresentanti italiane, sicuramente le parole di Rudy Garcia sono quelle che lasciano maggiormente il segno: da un lato la Roma, contrapposta alla formazione più completa del mondo, non ha ripetuto la figura barbina di 15 giorni prima all’Olimpico, ma tutto il calcio tricolore resta con un possente interrogativo. Può la formazione che in Italia esprime il miglior gioco, destinata a lottare da protagonista per lo scudetto, “accontentarsi” di prenderne solo due dal Bayern Monaco, rinunciando in partenza, tra parole e fatti, a giocarsela? La risposta verrebbe da sé, se non fosse che parliamo di avversari marziani, che Pep Guardiola fa giocare di-vi-na-men-te. Tanto vale cambiare angolazione e interrogativo: i bavaresi sono squadra fondamentalmente giovane, con un solo “over 30” come Frank Ribery e tanti forti giocatori acquistati un attimo prima di diventare fenomeni (vedi Lahm o Gotze) o ancora formati in casa (leggi alla voce Alaba), in Italia-laddove ci accontentiamo di Cole e Evra, o divinizziamo il Medel di turno-quando ci torneremo a quei livelli? Se il PIL non cresce, lo stesso non fa il PIC (Prodotto Interno Calcistico, perdonateci il neologismo).

Nell’attesa, prendiamo atto di una Juventus camaleontica ma ancora schiava delle sue paure “europee”: Allegri ha attuato la sua rivoluzione copernicana, passando alla difesa a 4, più per convenzione-dettata dagli infortuni-che per convinzione. I greci dell’Olympiacos, certo non formazione di primo piano (e neanche di secondo) si sono dimostrati ostici da superare quanto le Colonne d’Ercole, e Roberto ha rovinato la festa respingendo sulla traversa il rigore di un Vidal ancora lontano dai suoi parametri. E allora ci si aggrappa al “professor” Pirlo, alla classe di un Pogba “sverginato” dal gol in Champions e alla corsa illuminata di Marchisio e Tevez. Un menù che, condito da un Llorente affamato di riscatto, ha maturato il cinguettio di sollievo di Allegri. Paradosso vuole che i bianconeri siano più lontani dalla qualificazione di quanto non lo sia la Roma, pur avendo due punti in più: nel mezzo ci sono però gli avversari, di caratura diversa per quanto riguarda i giallorossi, e un calendario che potrebbe giovare a entrambe.

Le fatiche del calcio nostrano sono state confermate in Europa League: al tris del redivivo De Guzman che ha fatto gioire il Napoli, han fatto da contraltare gli striminziti pareggi di Inter e Fiorentina contro Saint Etienne e Paok Salonicco. Il passaggio del turno non è in dubbio, il salto di qualità sì. Nota stonata il Torino, superato ad Helsinki dai campioni di Finlandia: un 2-1 che conferma un’attitudine. Gli “altri”, per quanto modesti, hanno attitudine a vincere, noi, spesso, no.

Click- Tre fotografie (e mezza) restano in mente dalla tre giorni europea: da Embolo, attaccante 17enne del Basilea che in Italia lotterebbe contro un’età troppo “verde” per le nostre stagionate abitudini e un cognome funesto, autore di una rete contro il Ludogorets e di un compito a scuola il giorno dopo, a Leo Messi, già da record a soli 27 anni con la doppietta all’Ajax, tocchiamo i due estremi del calcio continentale. Nel mezzo ci mettiamo la continuità e la classe silenziosa di Carletto Ancelotti, che con il suo Real gioca un calcio di altra velocità e supera con scioltezza degna di un test infrasettimanale il Liverpool. Risparmiamo la copertina a Iraizoz, portiere dell’Athletic Bilbao: il suo stop malriuscito frutta lo 0-2 al Porto e una brutta serata in coda a una carriera quindicennale.

(Twitter: @GuerraLuca88)