Ho avuto un dubbio, piuttosto impellente, guardando e riguardando il calcio di rigore richiesto dalla Roma nel match dell’Olimpico contro il Milan. Un dubbio che è durato un minuto circa: ho avuto la possibilità di vederlo da più angolazioni (benedetta paytv) e ho deciso che secondo me, e penso di trovarmi in accordo con la quasi totalità della critica calcistica, era calcio di rigore. E ho risolto il primo dubbio, quello meno impellente.
Ne ho avuti altri. Non sul calcio di rigore in sé, perché come detto la mia verità l’ho trovata. E devo ringraziare la moviola e il caldo del mio divano. Oltre che la relativa tranquillità e quei due minuti di attività cerebrale che per un arbitro sono un lusso. E allora il dubbio, quello vero, è un altro: chi considera il fallo di mano di De Jong in Roma-Milan un qualcosa di chiaro e di “impossibile da non vedere” (o clamoroso, Garcia dixit) ha mai arbitrato una partita?
Perché c’è Gervinho che cerca di andare verso la palla, e la manca con la testa per un soffio, e una mano lasciata lì che va a impattare con la sfera. Il tutto mentre la dinamica dell’azione suggerisce come sia stato Gervinho a colpire la palla, al contrario di quanto è realmente avvenuto. E poi c’è l’arbitro di porta, che è lì ma non riesce a vedere. Sì, avrebbe potuto, ma non lo fa. Perché magari viene tratto in inganno dalla dinamica e pensa sia stato Gervinho a colpire, come probabilmente hanno pensato tutti coloro che hanno visto l’azione in presa diretta anche in tv. E loro, a differenza nostra (e mia), non hanno avuto due minuti per farsi una propria idea e mille replay sul momento. E hanno sbagliato. Perché gli arbitri sbagliano, come amano dire quelli che ricevono il favore arbitrale. E poi se ne dimenticano, perché in fondo non l’hanno nemmeno capito quanto è difficile fare l’arbitro.