L’uomo di Liegi che parla italiano con forte accento barese. Jean François Gillet ha quella caratteristica peculiare dei baresi di farsi riconoscere ovunque nel mondo per un accento che difficilmente si può cancellare. Ma Gillet è nato a Liegi, in Vallonia, in una città che non ha nulla a che fare con Poggiofranco, piazza Aldo Moro o i “panzerotti” del 7 Dicembre.

Quel marchio inconfondibile probabilmente Gillet lo porterà dentro a vita, ogni volta che parlerà italiano. O magari lo ha sempre avuto, con quel misto di cadenza francese e dialetto barese. E sarà, forse, tutto quel che porterà dentro a vita di 10 anni a Bari. Il primo anno di A nel 2000-2001, poi tanta Serie B di fila. Fino al ritorno in Serie A con Antonio Conte, e quel campionato vinto. Gillet da capitano alza al cielo una coppa che fa impazzire Bari. La città che riscopre un amore che aveva quasi perso. Con tutte le contraddizioni del caso, dimenticando una contestazione societaria che c’era da una vita.

“Capitano a vita”, cantano così i tifosi baresi quando qualche minuto prima di tutti gli altri Gillet scende in campo per il riscaldamento in un San Nicola che cade a pezzi. Lui para due rigori a Totti, si mette in mostra anche in Serie A. Il Bari con Ventura arriva prima decimo, poi retrocede. Si spezza qualcosa, il calcioscommesse rade al suolo la passione di una città che nel calcio si specchia. E diventa quasi triste. Gillet viene condannato, ha sbagliato. E va via. Abbandona la nave, scegliendo la cosa più facile.

I tifosi non glielo perdoneranno mai. Se i duri hanno due cuori, come cantava Ligabue, quello dei baresi è servito prima ad “amare un po’ di più” Gillet, poi ad odiarlo. E i fischi di ieri sera sono quanto resta di un rapporto durato 10 anni. Di calcio e d’amore. Lui, l’uomo di Liegi, a fine partita dice di aver dato tutto dall’inizio alla fine per quella maglia. Ma lo dice con le vocali aperte e il “suo” italiano. Maledetto accento barese.