28 maggio 2017: una data che rimarrà certamente indelebile nella mente dei tifosi romanisti e degli appassionati di calcio: dopo 25 anni, Francesco Totti ha indossato per l’ultima volta la maglia della Roma e si appresta ad intraprendere un nuovo capitolo della sua vita.

Contro il Genoa l’ultima partita del Capitano per eccellenza, un’occasione per celebrare, tra ammirazione e commozione, il più grande calciatore che il club capitolino abbia mai avuto, nonché l’ultima bandiera del calcio italiano, probabilmente mondiale, in un mondo dello sport dominato dal dio denaro. Per Roma e i romanisti Totti non è solo un idolo, ma un vero monumento, e l’amore che nutrono nei suoi confronti si è palesato nella magnifica cornice dell’Olimpico.

Un bagno di folla ha scandito il suo nome per tutti i novanta minuti nell’ultimo match contro il Grifone. Luciano Spalletti gli ha concesso 37 minuti, in cui è peraltro risultato determinante per condurre la sua squadra al secondo posto in classifica. Poi l’ora della festa: un sottofondo con le musiche del Gladiatorie, del Re Leone, di Morricone e de La vita è bella, gli immancabili inni vendittiani e lui pronto a fare il giro del campo visibilmente commosso, come l’intero pubblico accorso sugli spalti.

Infine la lettera, quella lettera rivolta alla sua famiglia – che si è palesata davanti al suo ingresso dagli spogliatoi – alla Roma, al calcio intero che lo ha sempre amato e l’ha sempre considerato l’unico vero ottavo re di Roma. Questo il contenuto integrale.

“Grazie Roma, grazie a mamma e papà, grazie a mio fratello, ai miei parenti, ai miei amici. Grazie a mia moglie e ai miei tre figli. Ho voluto iniziare dalla fine, dai saluti, perché non so se riuscirò a leggere queste poche righe. È impossibile raccontare ventotto anni di storia in poche frasi.

Mi piacerebbe farlo con una canzone o una poesia, ma io non sono capace di scriverle e ho cercato, in questi anni, di esprimermi attraverso i miei piedi, con i quali mi viene tutto più semplice, sin da bambino. A proposito, sapete quale era il mio giocattolo preferito? Il pallone ovviamente! Lo è ancora. Ma a un certo punto della vita si diventa grandi, così mi hanno detto e cosi il tempo ha deciso.

Maledetto tempo. È lo stesso tempo che quel 17 giugno 2001 avremmo voluto passasse in fretta: non vedevamo l’ora di sentire l’arbitro fischiare tre volte. Mi viene ancora la pelle d’oca a ripensarci. Oggi questo tempo è venuto a bussare sulla mia spalla dicendomi: “Dobbiamo crescere, da domani sarai grande, levati i pantaloncini e gli scarpini, perché tu da oggi sei un uomo e non potrai più sentire l’odore dell’erba così da vicino, il sole in faccia mentre corri verso la porta avversaria, l’adrenalina che ti consuma e la soddisfazione di esultare”.

Mi sono chiesto in questi mesi perché mi stiano svegliando da questo sogno. Avete presente quando siete bambini e state sognando qualcosa di bello… e vostra madre vi sveglia per andare a scuola mentre voi volete continuare a dormire…e provate a riprendere il filo di quella storia ma non ci si riesce mai… Stavolta non era un sogno ma la realtà.
E adesso non posso più riprenderlo, il filo. Io voglio dedicare questa lettera a tutti voi, ai bambini che hanno tifato per me, a quelli di ieri che ormai sono cresciuti e forse sono diventati padri e a quelli di oggi che magari gridano “Tottigol”. Mi piace pensare che la mia carriera diventi per voi una favola da raccontare. Ora è finita veramente. Mi levo la maglia per l’ultima volta. La piego per bene anche se non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai.

Scusatemi se in questo periodo non ho rilasciato interviste e chiarito i miei pensieri, ma spegnere la luce non è facile. Adesso ho paura. E non è la stessa che si prova di fronte alla porta quando devi segnare un calcio di rigore. Questa volta non posso vedere attraverso i buchi della rete cosa ci sarà “dopo”. Concedetemi un po’ di paura. Questa volta sono io che ho bisogno di voi e del vostro calore, quello che mi avete sempre dimostrato. Con il vostro affetto riuscirò a voltare pagina e a buttarmi in una nuova avventura.

Ora è il momento di ringraziare tutti i compagni di squadra, i tecnici, i dirigenti, i presidenti, tutte le persone che hanno lavorato accanto a me in questi anni. I tifosi e la Curva Sud, un riferimento per noi romani e romanisti. Nascere romani e romanisti è un privilegio, fare il capitano di questa squadra è stato un onore. Siete e sarete sempre la mia vita: smetterò di emozionarvi con i piedi ma il mio cuore sarà sempre lì con voi. Ora scendo le scale, entro nello spogliatoio che mi ha accolto che ero un bambino e che lascio adesso, che sono un uomo.

Sono orgoglioso e felice di avervi dato ventotto anni di amore”.