A pochi giorni dall’inaspettata dipartita di Jonah Lomu, i giornalisti hanno voluto rendergli omaggio ripercorrendo la sua biografia, raccontando la sua vicenda personale e definendolo chi “il più grande giocatore di tutti i tempi” e chi “il più famoso”, talvolta confondendo queste due espressioni. Lomu faceva della velocità, della potenza e del peso il suo punto di forza in un campo da rugby non ancora così presidiato dalle difese come quello odierno, dove i placcaggi erano tutti individuali. Giocasse oggi sarebbe costantemente raddoppiato. Inoltre nel rugby moderno giocatori che superano i 110 chili e che ricoprono la posizione di trequarti ala ce ne sono parecchi, mentre a quel tempo egli era l’unico.

E’ difficile affermare se Jonah Lomu sia stato il più forte giocatore di rugby mai esistito, in quanto occorrerebbe instaurare un paragone con altri suoi “colleghi” (appartenenti anche a diverse epoche rugbistiche) e, nonostante in alcuni casi questi accostamenti siano interessanti e proficui, un confronto anacronistico tra due giocatori che fanno parte di due contesti storici lontani non può essere valido e fondante. Jonah Lomu è stato piuttosto il giocatore giusto, nel momento giusto, nel posto giusto, in quanto la sua sola presenza in campo ha obbligato le squadre a difendere diversamente, e quindi a rivisitare tutto un determinato modo di stare in campo. E’ questo, senza dubbio, il più grande merito che gli va riconosciuto. Tutto ciò avveniva nel 1995, proprio quando il rugby decise di lasciare il guscio protettivo del dilettantismo per approdare nel mondo del professionismo.

L’immagine stereotipata del rugbista è quella dell’uomo in sovrappeso, adatto al gioco in virtù della sua stazza. A vedere i giocatori moderni però l’impressione che si ha è molto diversa. Il rugby non è più quello di una volta. Una frase banale, ovvia, che ormai ci ripetiamo e ci sentiamo ripetere da tempo. Tutto è cambiato da quell’agosto 1995 quando l’International Rugby Board chiuse il capitolo amatoriale e aprì quello del professionismo. Un cambiamento epocale che ha cambiato il modo di giocare a rugby. Il tempo di gioco effettivo è raddoppiato da 20 a 40 minuti. I giocatori sono spinti al limite, gli allenamenti sono passati da due sessioni a settimana a due giornaliere e andare alla seduta muscolare una volta ogni 7 giorni bastava a considerarli come extraterrestri. Gli allenatori una volta guardavano con diffidenza l’eccessivo incremento muscolare, convinti che gonfiare i muscoli facesse perdere l’agilità, mentre oggigiorno due o tre sedute in palestra a settimana, vacanze comprese, non destano alcun stupore. E poi, c’è il doping, uno spettro che nessuno vuole vedere, ma che da tempo aleggia sul rugby.

Negli ultimi anni il rugby ha assistito ad “un’atletizzazione” dei suoi protagonisti e di conseguenza del gioco da loro espresso. Adesso i giocatori di rugby sono diventati atleti a tutto tondo, comportando dei notevoli cambiamenti dal punto di vista tattico. Mi riferisco soprattutto alla crescita delle capacità atletiche degli avanti (i giocatori che compongono il pacchetto di mischia). I piloni e le seconde linee hanno compiuto un notevole passo in avanti, introducendo nel gioco una novità assoluta rispetto al passato: escono dalla mischia e giocano a tutto campo, si propongono in attacco e intervengono in difesa occupando tutti gli spazi. Il gioco si è dovuto adattare a questa iniezione di dinamismo proveniente dal pacchetto, e le nuove tattiche devono necessariamente tener conto della riduzione di spazio.

Insomma, il rugby negli ultimi 20 anni è cambiato. Per qualcuno non così tanto, per altri è diventato un altro sport. Qualcuno ha salutato il cambiamento come un’evoluzione positiva, una crescita naturale, altri ne hanno visto la morte dell’anima, vedendo in questa metamorfosi l’attenuazione del potenziale creativo dei giocatori, i quali scelgono di impattare in maniera brutale contro il muro difensivo invece di produrre la benché minima scintilla di fantasia. Un’evoluzione sicuramente positiva c’è stata (il professionismo infatti era necessario e non procrastinabile), ma, come in ogni evoluzione/rivoluzione, ci si è portati dietro delle tossine (doping, perdita dello spirito più goliardico, interessi che vanno oltre lo sport) che potrebbero nuocere al rugby.