Il rettangolo verde come una scacchiera. Stasera all’Olimpico la Roma e la Juventus si sono affrontate con rispetto e strategia, seguendo una trama logica e annunciata: bianconeri attendisti, giallorossi alla ricerca dello spunto per offendere.
Per gran parte della gara, l’attenzione dei calciatori di Allegri ha consegnato alla storia della partita la solita Roma versione 2015, votata al possesso palla sterile e incapace di portare uomini all’interno dell’area avversaria. Facile per la Juve, con questa premessa, domare gli undici di Garcia senza patemi.
Se da una parte la Roma non è stata in grado di costruire gioco per gran parte della partita, dall’altra è però entrata in campo con una cattiveria agonistica raramente mostrata finora. Attributo a cui la Juventus ha saputo ribattere colpo su colpo, in una partita che non ha mai varcato i limiti della sportività. Merito delle due squadre e di un Orsato all’inglese, che ha lasciato correre più che ha potuto, tenendo la partita quasi sempre in mano.
Quasi, non totalmente, perché la seconda ammonizione a Torosidis, quella che lascia i giallorossi in dieci e regala la punizione del vantaggio ai bianconeri, appare dubbia: se il tocco c’è, è infatti involontario. Gol di Tevez, scacco di Allegri. In vantaggio è andata la squadra che fino a quel momento aveva saputo interpretare meglio la gara.
La contromossa di Garcia è da brividi: fuori Totti e De Rossi, dentro Iturbe e Nainggolan, con Florenzi che in precedenza aveva preso il posto di Ljajic per ristabilire la linea difensiva a quattro dei giallorossi. La Roma, senza i capitani e con l’uomo in meno, è salita in cattedra, mostrando la verve dei bei tempi e installando il dubbio che confermare dieci undicesimi (Skorupski escluso) della formazione scesa in campo giovedì a Rotterdam non fosse stata una decisione premiante per il tecnico francese. I bianconeri, che sembravano ormai padroni della gara e del proprio destino, lasciano campo alla reazione orgogliosa della Roma, che trova il gol con Keita, mette paura alla Juve con Iturbe e con qualche folata del redivivo Gervinho.
Ma è troppo tardi, occasione sprecata per entrambe: la squadra di Allegri non chiude il campionato, quella di Garcia non riapre la lotta scudetto e non allunga sulle inseguitrici. Sulle prossime scacchiere i due tecnici dovranno macinare i punti della sicurezza e provare soprattutto a rendere nuovamente grande il calcio italiano in Europa, senza paura.