Cosa resta di Torino-Juventus il giorno dopo un derby che sarebbe dovuto passare alla storia per la vittoria del Toro a 20 anni di distanza dall’ultima vittoria in una stracittadina?. Di mezzo ci sono tante delusioni, sconfitte cocenti all’ultimo minuto, incertezze societarie e qualche anno di Serie B di troppo per una piazza che si è riscoperta tra le più belle del panorama calcistico italiano. E Toro-Juve è stato questo, ma è stato anche molto altro.
È la prosecuzione di Atalanta-Empoli, giocata alle 12.30 e finita a cazzotti, con Denis che ha rotto zigomo e naso a Tonelli. Come in una sala biliardo del Texas. O come quello che accadeva anni fa nei campi polverosi di provincia quando la squadra di casa non vinceva e negli spogliatoi le luci venivano spente “per errore”. Il tutto molto lontano da un calcio italiano che vorrebbe lasciare il passato per viaggiare verso il futuro. E nel frattempo copia dagli altri paesi il calcio spezzatino, il posticipo del lunedì sera, e medita altre innovazioni tecnologiche come l’occhio di falco per il gol fantasma. Un abito che stona un po’ addosso a chi fa ancora a pugni alla fine delle partite. E che veste ancora peggio chi cerca di giustificare il tutto con le minacce di morte e gli screzi nei 90 minuti.
Ma dopo Atalanta-Empoli che è la fiera della violenza negli spogliatoi, c’è Torino-Juventus, che è la fiera della violenza sugli spalti e fuori. Il bus della Juventus viene aggredito poco prima della partita. Da gente che con i bambini accanto stava spiegando ai propri figli un odio viscerale per una squadra di calcio. Ma sono convinto che quei bambini non ne abbiano capito il motivo. Magari tra 20 anni lo faranno anche loro. Ma non ne avranno mai capito davvero il motivo. Così come non ha capito cos’è un derby chi ha lanciato una bomba carta in un settore dello stadio occupato da avversari. Come se lo stadio fosse un campo di guerra. E l’avversario un nemico verso il quale è giustificata persino la violenza.
Un derby dovrebbe essere un qualcosa di poetico. A proprio modo. Un momento nel quale la Juventus che sta vincendo il quarto scudetto consecutivo, che è in semifinale di Champions e finale di Coppa Italia, perde contro il Toro di Ventura che probabilmente non arriverà nemmeno tra le prime 6. Perché in un derby vinci con cuore, motivazioni, e palle. Funziona così un derby. E dovrebbe essere quel tocco d’arte del calcio che, per citare Tolstoj, deve sopprimere la violenza. Peccato, sarebbe stato ancora più bello.