“Ma Pippo Pippo non lo sa che quando passa poi lo stadio fischierà…”. Non ce ne voglia Super-Pippo Inzaghi se riadattiamo in salsa rossonera un celebre motivetto d’antan cantato da Rita Pavone: proprio lei che in un’altra canzone era lasciata sola dal compagno che si recava allo stadio per “vedere la partita”. E allora il Diavolo, restando in tema, ci mette la coda e anche le strofe: peccato che anche ieri, a “San Siro”, l’acuto lo abbia lanciato Denis, uno che di nome fa German ma di teutonico e dei dolci ricordi che Berlino evoca alla mente di Inzaghi ha davvero poco, e che alla fine la colonna sonora sia stata rappresentata dai fischi di disappunto dei tifosi rossoneri, troppo lontani nei tempi e nei loro rappresentanti sul campo dai fasti del Pippo calciatore, affiancato da compagni di elevatissimo lignaggio.
Oggi, al giro di boa del torneo, con 26 punti, il Milan appare un carro che lentamente perde pezzi: ha iniziato in agosto, cedendo Balotelli dopo aver improntato il pre-campionato su “SuperMario”, ha proseguito in ottobre con una difesa che denunciava la sua età, sta andando sulla via maestra ora, dopo una pausa natalizia infarcita di improvvidi proclami dirigenziali che puntavano senza “se” e senza “ma” al terzo posto. Dati ai quali si aggiunge un nervosismo latente: quello di Cerci che alla terza presenza (incolore) ha già discusso con un compagno (Abate, nonostante la smentita societaria), quello di El Sharaawy che sin qui ha convinto solo in amichevole, di un Menez che è croce e delizia, di tanti calciatori che vorrebbero (puntare in alto) ma ad oggi non possono. E infine di Inzaghi, lanciato in una realtà importante senza la necessaria gavetta, quella che hanno fatto tutti, da Conte ad Ancelotti passando per Mourinho: perché di Guardiola, forse, ne nasce solo uno.
Di Pippo tutto si può dire meno che non sia un gran lavoratore: Milanello ospita continue riunioni dello staff, task-force di analisi e confronti. Nei fatti gli vanno riconosciute alcune buone intuizioni (Menez falso nueve in avvio di stagione, il rilancio di Mexes, l’acquisto di Bonaventura) ma anche eccessi di fiducia verso calciatori che rallentano la manovra come Muntari e chiusura a portatori di soluzioni come Poli e Pazzini: a fronte di una società che oggi sembra quasi vergognarsi di non poter spendere, e rincorre annunci pomposi come quello di Suso (riserva nel Liverpool, per inciso) senza meditare un mercato che tamponi le falle di una rosa distante anni luce da Milan e Roma, Pippo deve crescere. E farlo in fretta, a costo di rivedere le sue idee e fare un passo indietro. Quello a cui serve la gavetta, appunto: “L’impegno e la voglia non bastano più, dobbiamo svegliarci al più presto” ha detto ieri in conferenza stampa. Inzaghi rimetterebbe gli scarpini per rinvigorire un gruppo che ha fatto un punto (e con quale sofferenza) tra Sassuolo, Torino e Atalanta, non Barcellona, Chelsea e Bayern Monaco. Perché oggi a Milano, sponda rossonera, qualcuno ha staccato la spina, e nessuno la riattacca. Ma questo, Pippo, lo sa.
(Twitter: @GuerraLuca88)