Parlare di complotti ad uno che si è visto annullato il gol più bello della propria carriera in maniera ingiusta è un qualcosa che poteva riuscire solo a De Laurentiis. Che schiuma rabbia, come un tifosotto da bar qualunque. Contro quello che per eleganza e modi di fare viene chiamato “Le Roi”. Ma Platinì è un’altra cosa, e questo lo avevamo capito più o meno tutti. O perlomeno chi ha (e aveva) voglia di capirlo. Cos’è, e cos’è stato, Platinì lo avevamo capito l’8 Dicembre 1985. Era un mattino italiano, ed un pomeriggio giapponese. Di quando il Mondiale per Club si chiamava Coppa Intercontinentale, veniva sponsorizzato dalla Toyota e si giocava a Tokyo. La diretta tv in Italia non era prevista, se non in Lombardia.

La Juventus affrontava l’Argentinos Juniors, e non aveva mai vinto una Coppa Intercontinentale. Anzi, non ne aveva mai nemmeno giocata una. E si trovava lì con la testa ancora sporca del sangue dell’Heysel, e di una finale che non fu un trionfo ma una tragedia, nonostante la vittoria. Micheal Platinì realizzò quello che secondo lui è il gol più bello della propria carriera. Roth glielo annulla. Ed è ancora difficile capire il perché. Le due squadre erano sull’1-1 e si giocavano una fetta importante e affascinante della propria storia. Platinì protesta, ma lo fa poco. Con quei toni educati, forse troppo, che lo hanno fatto amare dai tifosi della Juve. Poi si sdraia sull’erba bagnata e rovinata dal football americano. E guarda l’arbitro. E sta zitto, quasi attonito. Con quel mezzo sorriso che lo ha fatto odiare da tutti gli altri. Platinì era questo. Le Roi era così.

Lui sa cosa vuol dire vedersi annullare un gol per un errore arbitrale. E probabilmente sa anche che può succedere. Ma quando proprio non lo riesci a capire…un mezzo sorriso e sdraiato sull’erba. Da lì il calcio sembra più bello. Quasi trent’anni fa lo ha spiegato Le Roi a chi ancora oggi schiuma di rabbia per un errore arbitrale.