Messa da parte una domenica in cui #JuventusRoma è stata la parola chiave in talk show sportivi, moviole, Facebook, Twitter e liti sul web, ecco cosa ci ha mandato di traverso il caffè del lunedì: “Ricordo che Roma e Juventus sono società quotate in borsa, e quindi gli incredibili errori arbitrali (oltre a falsare il campionato e minare la credibilità del Paese) incidono anche sugli andamenti della quotazioni borsistiche ì Per questo, con i miei atti parlamentari ispettivi, sollecito il ministro Padoan e la Consob a chiarire se ci possono essere stati atti che ledono le normative vigenti, svantaggiando e penalizzando gli incolpevoli azionisti. Ritengo anche che la partita di ieri, trasmessa in tutto il mondo”, continua ancora l’ex segretario cittadino dei democratici, “abbia dato una pessima immagine del Paese. Meritocrazia e qualità vengono messi in secondo piano a favore di decisioni errate. Più che dell’articolo 18, sono sicuro che gli imprenditori stranieri siano messi in fuga soprattutto da questa arbitrarietà e mancanza di certezza nell’applicazione delle regole, assolutamente impensabile in qualsiasi altra parte del mondo civilizzato. A Roma c’è l’americano Pallotta che continua ad investire in Italia. Speriamo che ieri non abbia visto la partita. O, almeno, che l’abbia dimenticata in fretta”. Non da un bar sport, non da un confronto tra amici: l’appello in un lunedì di ottobre arriva direttamente da un deputato, Marco Miccoli (tifoso romanista, come specifica su Twitter) del Partito Democratico, che evidentemente nel pieno del semestre italiano alla presidenza dell’Ue non ha trovato nulla di meglio che parlare del campionato e dei veleni arbitrali per conquistare qualche prima pagina. Con lui Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia: come dire, divisi in Parlamento ma uniti dalla fede calcistica per la Magica. Una firma che torna, quella di Miccoli, la stessa che il 25 febbraio aveva già paventato la stessa ipotesi dopo un rigore (fallo di Pirlo su El Kaddouri) non concesso in Juventus-Torino.
Un gol annullato e tre (calci di) rigore finiscono in Parlamento, dove il rigore manca da troppo tempo. Dall’arena infuocata di Montecitorio al campo di gioco il passo è spesso- purtroppo- breve: negli ultimi tempi abbiamo assistito a risse che nemmeno in Prima Categoria, insulti che neppure il peggior Roy Keane avrebbe emesso, poca classe e tanto (fuori luogo) agonismo. Ma di qui a confondere gli errori nella sfida più importante del torneo e qualche svista sugli altri campi di A per una tematica di interesse e valore nazionale, siamo davvero alla frutta. E meno male che Miccoli sa che siamo alla “presenza di tanti problemi in Italia”, ma questo non bastò a febbraio per non ritenere essenziale che “assicurare la correttezza del gioco più amato non possa che dare il segno di un Paese che cambia verso”.
Qui, caro Miccoli, non si discute della legittimità delle proteste: gli errori marchiani di Rocchi sono sotto gli occhi di tutti. Ma di qui a fare facile demagogia politica, beh, non ci siamo. Miccoli, lei ha lo stesso cognome di un celebre calciatore. Non ha certo insultato la memoria di Giovanni Falcone come un deferimento a carico dell’attuale capitano del Lecce ha provato l’anno scorso, non ci è nemmeno andato vicino, ma certo una cosa le possiamo dire: lei faccia il politico, passi dall’area di rigore ai problemi dell’euro-area, dimentichi le topiche arbitrali e ricordi le pratiche gestionali, metta da parte le cospirazioni e pensi a cosa davvero serve a questo Paese, che (dati di ieri, Miccoli, se avesse letto le pagine prima dello “sport” sui giornali, l’avrebbe scoperto) vedono la disoccupazione giovanile salita al 44,2 % e che oggi di Repubblica ha solo quella “degli stagisti”. Che di tifosi ce ne sono anche troppi, di politici (con la P maiuscola) troppo pochi. Ad maiora.
(Twitter: @GuerraLuca88)