Alzi la mano chi, al minuto 94 della gara tra Atletico Madrid e Chelsea, disputata ieri, non ha proferito frasi indigeste per una gara che ha deluso le aspettative. Ci si attendeva una sfida spettacolare, ricca di azioni pericolose, con gol a quantità industriali, ma niente di tutto questo. Eppure si giocava l’andata della semifinale di Champions League, certamente non equiparabile a una partita tra “Scapoli” e “Ammogliati”, con tutto il rispetto per il bravissimo Ragionier Ugo Fantozzi. Se “Rodolfo Valentino”, la fortunata fiction di Canale 5, ha registrato migliaia e migliaia di spettatori, deve ringraziare una persona in particolare: Josè Mourinho.
L’attuale manager del Chelsea, infatti, viste anche le molte assenze in squadra, ha deciso di usare un bulldozer in prossimità della porta difesa, dapprima da Cech e poi da Schwarzer, non facendo passare l’onda spagnola che, nemmeno con dieci attaccanti come Diego Costa avrebbe segnato. Continue perdite di tempo, alcune giustificate quando, sia il già citato Cech che Terry hanno dovuto abbandonare il campo e salutare la stagione anzitempo, poca cattiveria offensiva, lanci lunghi per il “povero” Torres e un atteggiamento rinunciatario sono state le caratteristiche che Mou ha messo sul terreno di gioco del “Vicente Calderon”.
Il risultato di 0-0, così, è stato accolto con un po’ di fastidio da Diego Pablo Simeone, l’allenatore degli spagnoli, che a fine partita ha dichiarato “Al ritorno assisteremo a una gara più aperta”. Parole che hanno il sapore di punzecchiatura nei confronti di Mourinho, non nuovo a questo tipo di prestazione tutto catenaccio. Il “Mago di Setubal”, tuttavia, anche in terra iberica, ha mostrato tutte la sua scaltrezza tattica: 1) giocava contro una signora squadra come l’Atletico Madrid, che pressava con la bellezza di otto elementi, bravi a non far ragionare Lampard e Willian, i due fari del centrocampo “Blues”. 2) Non aveva a disposizione gente come Hazard, Eto’o e Oscar, non gli ultimi arrivati. 3) La sua squadra, anche atleticamente, non poteva reggere il confronto con Miranda e company, più freschi e autori di un grande prova.
Giocare all’attacco, in queste condizioni, avrebbe significato subire un’imbarcata, con il conseguente addio alla finale di Coppa che si gioca proprio a Lisbona, una città che Mourinho conosce come le tasche dei suoi pantaloni. In Italia, il tecnico 51enne, regalò, proprio con queste idee tattiche, la Champions League all’Inter. Come non dimenticare la magica serata del “Camp Nou”, contro un Barcellona che non riuscì a ribaltare l’1-3 dell’andata. In quell’occasione, però, i nerazzurri rimasero in inferiorità numerica per più di un’ora di gioco, causa rosso inventato a Thiago Motta, dimostrando grande spirito di sacrificio e voglia di raggiungere l’ultimo atto al “Bernabeu”. Al ritorno, dunque, possiamo scommettere il biglietto della finale, il Chelsea disputerà un match diverso anche perché deve trovare il gol se non vuole rischiare il cosiddetto “suicidio” calcistico. Sostantivo che nel vocabolario di Mourinho non deve esistere per nessuna ragione al mondo, proprio perché “Josè” è l’emblema della praticità in Europa.