Portland Trail Blazers: 8
L’autentica rivelazione della Western Conference, in grado di sovvertire ogni previsione fatta sul loro conto prima dell’inizio della regular season. Sospinta dalle straordinarie performances di Damian Lillard (6° miglior marcatore con 25.1 punti a partita) la squadra dell’Oregon ha saputo valorizzare diversi giocatori non certo di primo piano (Allen Crabbe, Al-Farouq Aminu, Mason Plumlee) tra i quali spicca però CJ McCollum, giustamente insignito del premio di Most Improved Player: nell’arco di un anno è passato da 6.8 a 20.8 punti di media. Le basi per una ricostruzione inaspettatamente rapida, con un simile backcourt, sono più che solide: se Portland saprà mettere a segno qualche discreto colpo nella prossima free agency, le 44 vittorie stagionali potrebbero essere solamente l’antipasto di ciò che verrà.
Oklahoma City Thunder: 7,5
Nell’Oklahoma devono regnare sentimenti contrastanti: se da un lato il record di 55-27 (5° nella lega) ha significato un agevole terzo posto ad Ovest, dall’altro il gap con le corazzate Spurs e Warriors non ha fatto altro che accentuarsi. I tifosi si possono comunque consolare con un Russell Westbrook da annali – ben 18 triple doppie in stagione – e con un Kevin Durant tornato nei propri panni (28.2 punti, 8.2 rimbalzi, 5.0 assist) dopo essersi lasciato alle spalle gli infortuni. L’esito dei Playoffs – ed eventualmente delle Finals – condizionerà in maniera indelebile il futuro della franchigia, in quanto le possibilità che KD possa lasciarsi allettare da altre proposte sembrano aumentare di mese in mese.
Utah Jazz: 7
Il sogno dei Jazz di accedere nuovamente alla post-season per la prima volta dal 2011/2012, quando vennero sconfitti per 4-0 al primo turno dagli Spurs, si è infranto proprio sul più bello: la corsa al fotofinish per i Playoffs che ha visto coinvolti anche i Dallas Mavericks e gli Houston Rockets ha infatti lasciato Utah a bocca asciutta, dopo una regular season costellata di alti e bassi ma che ha messo in luce il talento di diversi elementi, dal “veterano” Gordon Hayward a Derrick Favors, da Alec Burks all’insospettabile Rodney Hood. Come nel caso dei Trail Blazers, il telaio della squadra è composto perlopiù da giovani, per cui al netto di infortuni (come quello capitato quest’anno a Dante Exum) e inconvenienti simili è lecito pensare che i Jazz sapranno prendersi la loro rivincita già a partire dal 2016/2017.
Denver Nuggets: 5
Risultati tutt’altro che esaltanti per Danilo Gallinari e i suoi Nuggets, la cui stagione ha avuto termine in quel limbo temuto da tutta la NBA, a metà strada tra un record da Playoffs e uno interessante in chiave Draft: l’1,9% di possibilità di accaparrarsi la prima scelta assoluta non sono granché come garanzia. Oltre al Gallo – 19.5 punti a partita, record personale in NBA – si sono distinti Will Barton (tra i migliori sesti uomini della lega), Nikola Jokic ed Emmanuel Mudiay, che dovrà migliorare significativamente le proprie percentuali (36% al tiro, 61% ai liberi).
Minnesota Timberwolves: 6
Si può nutrire ancora qualche speranza sul futuro di una squadra dopo la dodicesima stagione consecutiva senza Playoffs, ormai un lontano ricordo nel gelido Minnesota? Sembra proprio di sì. L’impatto sulla lega di Karl-Anthony Towns (doppia doppia di media, 18.3 punti & 10.5 rimbalzi) è stato più consistente di ciò che si pensava, mentre Andrew Wiggins (20.7 punti) e Zach LaVine (14.0) hanno fatto ulteriori progressi, soprattutto nel caso del canadese: con un buon Ricky Rubio al timone e con un Kevin Garnett in versione gran maestro per un’ultima annata, se i Timberwolves dovessero ottenere una chiamata alta al prossimo Draft (8.8% di chances per la prima scelta) la situazione potrebbe diventare veramente intrigante. Come se già non lo fosse abbastanza.
Golden State Warriors: 10
Al di là delle sterili critiche dei loro detrattori, quanto appena compiuto dai californiani della Bay Area è destinato a rimanere nella storia: Curry, Thompson, Green e compagni hanno infatti realizzato quanto sembrava impossibile a molti, superando il record dei Chicago Bulls (in piedi da 20 anni) con delle dimostrazioni di forza realmente impressionanti. Ogni ingranaggio del meccanismo Golden State sembra essere perfettamente al proprio posto, tant’è vero che elementi come Leandro Barbosa o Marreese Speights vi hanno trovato la propria dimensione ideale: se poi a guidare la truppa c’è un alieno come il babyface assassin Curry (30.1 punti di media in 34 minuti) nessun obiettivo è fuori portata per gli Warriors.
Los Angeles Clippers: 7,5
Il discorso fatto per gli Oklahoma City Thunder può essere esteso senza particolari differenze anche ai Velieri losangeleni, i quali hanno sì concluso la regular season con un buon 4° piazzamento (53-29) ma senza mai riuscire ad impensierire Durant & soci nella corsa al 3° posto. La mano rotta di Blake Griffin, infortunio che ha limitato l’ex prima scelta assoluta a sole 35 gare, è una scusante non troppo valida, se è vero che senza di lui in campo i Clippers sono persino riusciti a migliorare la propria percentuale di vittorie. La verità è che la maggior parte dei nuovi innesti (Josh Smith e Lance Stephenson su tutti, ma anche lo stesso Paul Pierce) non hanno reso secondo le aspettative, finendo per essere addirittura ceduti nel caso dei primi due: coach Rivers si può però consolare con una panchina apparsa finalmente solida quando chiamata in causa, dopo che nelle ultime annate aveva incarnato il vero tallone d’Achille della squadra.
Phoenix Suns: 5
Impresa ardua quella di fare meglio della stagione precedente, conclusa peraltro con un discreto 39-43, quando i tuoi due migliori giocatori sono costretti a saltare complessivamente ben 82 gare a causa degli infortuni: i guai fisici nei quali sono incappati Eric Bledsoe prima e Brandon Knight poi, infatti, hanno tarpato le ali ai sogni di gloria dei Suns, che hanno però avuto modo di scoprire appieno le qualità del giovanissimo Devin Booker, quarto giocatore più giovane di sempre a raggiungere i 1000 punti nella NBA. Il resto del roster ha evidenziato tutte le proprie lacune, tra le prove altalenanti del veterano Tyson Chandler e la mancata crescita di giovani come Alex Len e Archie Goodwin.
Sacramento Kings: 4
La “Suicide Squad” della Western Conference ha mancato nettamente gli obiettivi prefissati prima dell’inizio della stagione, quando diversi addetti ai lavori avevano vaticinato la prima presenza ai Playoffs dal 2006 ad oggi. Se è pur vero che le 33 vittorie stagionali sono il massimo ottenuto da 8 anni a questa parte, il fallimento dei Kings è evidente: pur potendo contare sulle buone prestazioni di Rajon Rondo e DeMarcus Cousins, con quest’ultimo diventato pericoloso anche dalla lunga distanza, Sacramento ha ottenuto ben poco da Ben McLemore, dal nostro Marco Belinelli e dal tradizionalmente incostante Rudy Gay, che ha messo in luce per l’ennesima volta i propri limiti. Inoltre, la lunga battaglia tra Boogie e coach George Karl si è conclusa con la capitolazione del secondo, ma non sarebbe una sorpresa se l’ex-Kentucky dovesse chiedere di essere ceduto nei prossimi mesi dopo 6 anni avari di soddisfazioni.
Los Angeles Lakers: 3,5
Con il commovente addio di Kobe Bryant i Lakers possono finalmente lasciarsi alle spalle le ultime, terrificanti stagioni, “coronate” quest’anno dal peggior record nella storia della franchigia (17-65). Non che il futuro a breve termine appaia così splendente, sia chiaro, ma le fondamenta per costruire un altro ciclo vincente potrebbero potenzialmente esserci: il trio formato da D’Angelo Russell, Jordan Clarkson e Julius Randle, se saprà coesistere, può garantire buoni risultati sin da subito, mentre le pur fondate speranze di mettere le mani sulla prima scelta assoluta (20%) potrebbero trasformarsi in una beffa tremenda qualora la loro scelta dovesse passare ai Philadelphia 76ers, eventualità che si realizzerebbe se i Lakers dovessero scivolare oltre la terza posizione. Aggiungendo a tutto ciò il che da qualche anno a questa parte i free agent sembrano timorosi di sbarcare nella Città degli Angeli, il futuro dei gialloviola è interessato da troppi punti interrogativi per garantire una sicura riuscita.
Houston Rockets: 5,5
Dalle stelle alle (quasi) stalle nel giro di appena dodici mesi: tale è stato il destino dei texani, finalisti ad Ovest nella scorsa stagione e qualificatisi quest’anno per i Playoffs solo nelle battute finali della regular season. Colpa di un andamento scellerato portato avanti per diversi mesi, quando dietro a James Harden – 29.0 punti a partita ma ben 374 palle perse, peggior prestazione dalla fusione NBA/ABA – si è creato il vuoto: l’esperimento Ty Lawson ha avuto esiti disastrosi, con l’ex-Denver spedito agli Indiana Pacers; due capisaldi della scorsa stagione come Trevor Ariza e Dwight Howard hanno deluso a dir poco; i rinforzi giunti a stagione in corso (Josh Smith e Michael Beasley), pur con alcune uscite positive, non hanno brillato per incisività; i 106.4 punti concessi, infine, hanno rappresentato un ostacolo insormontabile per i ragazzi di coach Bickerstaff.
Memphis Grizzlies: 6
Il settimo posto finale, a conti fatti, si può considerare un risultato più che positivo vista la stagione da dimenticare della franchigia del Tennessee, azzoppata dagli infortuni capitati ai suoi due uomini chiave – Marc Gasol e Mike Conley – ai quali vanno aggiunti quelli occorsi a Brandan Wright e Mario Chalmers. Con un’accozzaglia di giocatori da combattimento (Tony Allen, Chris Andersen, Matt Barnes, JaMychal Green, il nuovo arrivato Lance Stephenson) i Grizzlies sono comunque riusciti a strappare un biglietto per la post-season, crollando in classifica solo ad aprile.
San Antonio Spurs: 9
La stagione da record di Golden State ha fatto passare in secondo piano quanto compiuto dai grigioneri, capaci di chiudere con 67 vittorie e 15 sconfitte: Kawhi Leonard, premiato per il secondo anno consecutivo col premio di Miglior Difensore della lega, si è definitivamente affermato anche dal punto di vista offensivo (21.2 punti), mentre LaMarcus Aldridge, alla prima esperienza con gli Spurs, è cresciuto mese dopo mese fino a diventare un pilastro della squadra. Il riposo extra concesso da Popovich a tutti i titolari potrebbe – e dovrebbe – dare i suoi frutti nel corso dei Playoffs: salvo imprevisti, ci aspettano delle Finali di Conference da ricordare.
Dallas Mavericks: 6,5
Ancora una volta la franchigia di Mark Cuban sarà impegnata almeno per tutto il mese di aprile: Nowitzki e compagni, anche se non nella loro miglior versione, hanno comunque venduto cara la pelle, scalando la graduatoria della Western Conference fino al 6° posto finale. Il fenomeno tedesco ha chiuso a 18.3 punti senza smettere di incantare nonostante l’età; oltre a lui si sono distinti anche Wesley Matthews, Zaza Pachulia e un redivivo Deron Williams. Gli Oklahoma City Thunder sembrano però un nemico fin troppo impegnativo per questi Mavericks, mai riusciti dal 2011 ad ora ad imbastire un’altra formazione da titolo.
New Orleans Pelicans: 5
I figli della Louisiana hanno dovuto alzare bandiera bianca di fronte ai numerosissimi guai fisici accaduti a diversi loro cardini: Anthony Davis ha perso 21 partite, decidendo infine di sottoporsi ad un doppio intervento; Eric Gordon, invece, ne ha saltate 37; Tyreke Evans 57; Jrue Holiday 17, ma partendo titolare solamente in 23 occasioni. Ciò che è rimasto dei Pelicans, giunti sino ai Playoffs lo scorso anno, non è riuscito nell’impresa disperata di replicare tale risultato: il solo fatto che Toney Douglas sia stato impiegato in media 20.7 minuti a partita descrive la situazione più di mille parole.