Sei troppo vecchio, Iker, per queste cose. Sei troppo vecchio per non accorgerti che l’anca duole dopo un tuffo e i riflessi non sono più quelli di una volta. Fluidi, sicuri, decisi. Sei troppo vecchio, Iker, per non accorgerti che le certezze nella vita non esistono, che non tutto lo puoi bloccare in un paio di guanti. Il tempo non lo puoi fermare. Non si può fermare nemmeno la gloria a quando, quattro anni fa, nelle mani stingevi il mondo, e alzavi la coppa ricacciando al mittente le maledizioni di chi diceva che la Spagna brava, sì, ma poi al Mondiale fa sempre cilecca. Quella di Iker Casillas è un’immagine piena di malinconia. Doveva essere il pilastro della Spagna, è stato (insieme alla difesa) il capitello fragile che ha, di colpo, fatto crollare il palazzo dorato della squadra di Del Bosque.

Il ragazzo di Madrid ha 33 anni, gli zigomi accentuati e pungenti, l’aria stanca, la barba sfatta. Ieri sera la fascia al braccio gli pesava di una strana pesantezza, e si è visto subito. Le occhiaie erano scavate come un cratere di luna, ma non c’era il solito riflesso di luce negli occhi. Quando, a meno di venti minuti dalla fine, l’Olanda ha trovato il quinto gol con Van Persie sfruttando proprio un erroraccio del numero uno spagnolo, a tutti è sembrato chiaro che l’impero sia ormai ridotto a uno sparuto esercito di irriducibili. Il dominio di Spagna è finito. E non è affatto strano che il simbolo della tremenda disfatta spagnola sia proprio lui, Casillas (foto Getty Images), colpevole di tutto, anche di essere arrivato in Brasile dopo una stagione tribolata, tormentata, non all’altezza delle gale e dei fasti di un tempo. Riserva in campionato, titolare in Europa, che non fosse più l’Insuperabile Iker lo avevamo capito nella notte di Lisbona, qualche settimana fa. La Champions, è vero, non è la Coppa del Mondo, ma la tensione è la stessa. Il Real Madrid alla fine la Decima l’ha alzata lo stesso, ma quell’uscita avventata e irragionevole fuori dai pali che aveva dato il vantaggio all’Atletico, aveva anche messo sotto gli occhi di tutti i limiti di un uomo non più giovane, invecchiato, forse sazio dei suoi traguardi. E’ capitato a molti. E’ successo a Merckx. E’ successo a Napoleone. Prima o poi, capita sempre.

Prima di ieri non c’era mai stato spazio per la fragilità. A poche ora dalla partita gli hanno chiesto: “Casillas, lo sai che se non prendi gol per 84′ batti il record di Zenga?”. Lui ha alzato le spalle, ha guardato il futuro e risposto: “A me non interessa. L’importante è la vittoria”. C’era quando la Spagna ha vinto gli Europei la prima volta nel 2008. C’era quando li ha rivinti nel 2012, contro l’Italia. C’era nel 2010, alla finale Mondiale proprio contro l’Olanda, quando aveva chiuso in faccia a Robben la possibilità di trovare un gol, e alla fine la coppa l’aveva alzata lui. E’ nel ricordo di quella notte che vive l’ombra di Casillas. Un portiere stanco, a cui non è stato difficile segnare: è stato difficile non percepirne il dramma. Aveva detto: “Abbiamo la stessa speranza e la stessa ambizione di quattro anni fa. La stella del Mondiale non pesa, ne vogliamo un’altra”. Anche le bugie, in fondo, sono un vezzo per giustificare un senso di naturale impotenza.