Giorni caldi per il futuro sulla panchina rossonera di Filippo Inzaghi. Complice soprattutto un altalenante e sempre meno convincente rendimento del suo Milan, la prossima gara casalinga contro il Cesena potrebbe rivelarsi fondamentale per il suo destino. 30 punti in 23 giornate sono un bottino decisamente deludente, e vedrebbero al momento la squadra del diavolo tagliata fuori persino dalla lotta per l’Europa League. Avendo già fallito il secondo obiettivo stagionale, la Coppa Italia, queste ultime 15 giornate restano l’ultima possibile ancora di salvezza per il Milan.

Una delle peggiori formazioni di sempre dell’era Berlusconi, seconda forse soltanto a quella del biennio 1996-98: in quella circostanza, i rossoneri si piazzarono a metà classifica per due stagioni consecutive, fuori dalle coppe europee pur avendo a disposizione campioni del calibro di Kluivert, Baggio e Weah. Ma se negli anni ’90 quelle due stagioni risultarono poi essere un semplice incidente di percorso, la crisi attuale del Milan ha origini più profonde. E va di pari passo con la parabola discendente del suo proprietario, proprio quel Silvio Berlusconi che nel lontano 1986 prese per mano una società ormai prossima al fallimento.

Certo, adesso le casse della società di Via Turati non piangono come allora, ma non promettono più nemmeno investimenti faraonici come invece accadeva fino a pochissimi anni fa. Dove molti di quei giocatori ora titolari nell’undici di Inzaghi avrebbero avuto, nella migliore delle ipotesi, un ruolo da comprimari o da riserve. La stagione 2014/15 si avvia ad essere la quarta consecutiva senza che i rossoneri sollevino almeno un trofeo. Un poco onorevole minimo storico che non può certamente essere additato all’ex attaccante, potenziale (e futuro?) capro espiatorio al pari di Leonardo, Allegri e Seedorf. Tanti fallimenti, ma un minimo comun denominatore: mancanza di programmazione e di investimenti.

E nel mondo rossonero, intanto, il dibatto su Inzaghi s’infiamma. C’è chi, come ad esempio il tifo organizzato, che si è schierato apertamente in difesa del tecnico piacentino, individuando piuttosto le maggiori colpe nella figura di Adriano Galliani. Una liason d’amour profondamente deteriorata soprattutto in seguito alle polemiche del post Juventus – Milan, occasione in cui il dirigente rossonero aveva lanciato un profondo j’accuse nei confronti della terna arbitrale, tenendo poco conto del risultato maturato sul campo. Altri ancora, invece, sperano nel suo esonero per far posto ad un tecnico esperto e quotato. Ma quali possono essere i pro ed i contro sulla permanenza o meno dell’ex bomber rossonero in panca?

Inzaghi resta. Se il post – Inzaghi debba riconoscersi nella figura di Tassotti, allora sarà meglio tenersi stretto l’ex attaccante. Se non altro perchè non coinciderebbe con la personalità nuova e forte auspicata a più riprese dalla piazza. Inoltre, al netto anche di un mercato complicato, sarebbe cosa buona e giusta aspettare il rientro dei vari infortunati e puntare tutto sulla coesione del gruppo, sin qui sempre difeso anche nei momenti più critici. E sarebbe una permanenza importante anche sotto l’aspetto economico: il suo esonero, avendo già Seedorf a libro paga, non permetterebbe ulteriori ingaggi importanti.

Inzaghi va via. Ciò che più preoccupa del suo Milan sono l’incostanza nei risultati e l’enorme fragilità difensiva, ulteriormente denunciata domenica scorsa contro l’Empoli. Ad una partenza da Champions nelle prime giornate, ha fatto poi seguito una media da zona retrocessione. Non è impeccabile neppure nelle idee di gioco e nella gestione dei calciatori: i rossoneri tatticamente sono un cantiere continuamente aperto, e le cessioni di Niang (al Genoa) e di Torres (tornato all’Atletico Madrid) si sono rivelate un bene. Per i due partenti.