Qualche tempo fa – per la precisione il 30 novembre 2007 -, in molti storsero il naso quando Michel Platini, da poco insediatosi sulla poltrona di presidente della UEFA, fece approvare la riforma del format delle competizioni europee per il triennio 2009-2012 che avrebbe di fatto favorito una maggiore partecipazioni dei club appartenenti alle Federazioni dell’Est europeo. “Ci rimetteranno le Federazioni ‘forti’“, “Ci saranno troppe squadre materasso” o ancora “Rimarranno fuori dalle competizioni club sulla carta più forti, ai danni della meritocrazia pallonara“: queste furono solo alcune tra le motivazioni addotte dai più scettici. E invece, a distanza di quasi sette anni, si può affermare con imparzialità e obiettività che Platini, forse, aveva ragione.
Aveva ragione perché, senza quella riforma, probabilmente ieri non avremmo assistito alla storica vittoria per 2-0 della ‘povera’ Polonia sulla opulenta Germania, tra l’altro fresca fresca di titolo mondiale: un’impresa con diversi risvolti storici e sociali, che sa tanto di rivincita e di affrancamento per le tante, troppe umiliazioni subite in passato ad opera dei ‘vicini’ teutonici.
Platini aveva ragione perché, senza quella riforma, forse non avremmo assistito nemmeno alla incredibile vittoria della Slovacchia sugli ormai ex campioni di tutto della Spagna: Hamsik e compagni hanno disputato un match coraggioso, giocando a viso aperto e ribattendo colpo su colpo, mettendo a tratti in soggezione le più quotate Furie Rosse.
Platini aveva ragione perché, senza quella riforma, Italia-Azerbaijan sarebbe stata la solita partita col finale già scritto, in cui gli azeri avrebbero fatto da sparring partner agli azzurri, venendo presi a pallate dal primo al novantesimo minuti senza soluzione di continuità e trasformando una partita di qualificazione agli Europei in poco più di un allenamento. E invece così non è stato: certo, gli ex sovietici guidati do Berti Vogts non hanno fatto molto di più che piazzare una barriera a difesa della propria porta, ma hanno comunque tenuto in bilico fino alla fine un risultato che, senza le incursioni di Chiellini, probabilmente sarebbe rimasto invariato.
Platini aveva ragione perché, senza quella riforma, qualche settimana fa non avremmo visto i bulgari del Lugodorets arrivare a un passo dall’impresa di fermare i campioni d’Europa del Real esagerato di Ancelotti, ricco di talenti che nemmeno la Serie A intera si può permettere.
Platini, insomma, aveva ragione perché tutto questo è stato possibile solo grazie a quella riforma tanto contestata, che ha permesso a tanti calciatori militanti nei campionati minori di maturare una maggiore esperienza internazionale ‘sul campo’, elemento senza il quale le direttive di santoni del calcio piovuti dal cielo, spesso, diventano solo prediche nel deserto. Anche l’organizzazione tattica difensiva, se non accompagnata da altri fattori, diventa vana: il più solido dei fortini, senza un minimo di malizia calcistica e, appunto, esperienza internazionale, prima o poi crolla.
La riforma del 2007, in fin dei conti, ha garantito una maggior democrazia sportiva, nella quale tutti hanno la possibilità di arrivare nel calcio che conta – non solo i più ricchi – e nella quale anche i più poveri, talvolta, riescono a dimostrare che sì, talvolta possono giocarsela sino all’ultimo anche loro. È un calcio più equo e imprevedibile. E, che piaccia o no, Platini aveva ragione.