Dopo i precedenti tentativi infruttuosi di inserire il rugby all’interno del programma olimpico, la decisione favorevole finale è stata deliberata dal CIO – Comitato Olimpico Internazionale ndr – durante la riunione di Copenaghen del 9 ottobre 2009. La votazione è stata unanime: 81 favorevoli, 8 contrari, cosicché, dopo 92 anni, il rugby a 7 avrà un proprio torneo, sia maschile sia femminile, alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Ma come mai questa lunga latitanza?
Gli ultimi 80 minuti di rugby si disputarono alle Olimpiadi di Parigi del 1924 e furono quelli della finale tra Francia e Stati Uniti, vinta dagli Americani. Ciò che successe a partita conclusa è una della pagine più nere della storia del rugby.
I tifosi francesi, che già durante la gara avevano aggredito e ferito alcuni tifosi americani sugli spalti, al fischio finale invasero inferociti il campo da gioco e soltanto l’intervento delle forze dell’ordine poté sventare la possibile tragedia.
La pessima immagine che il rugby diede di sé in quei giorni fu solo uno dei motivi che portò all’esclusione definitiva del rugby dal programma olimpico. Concorsero anche le dimissioni nel 1925 dalla presidenza del CIO da parte del Barone De Coubertin, che tanto fece per tenere questo sport nella cornice olimpica, e lo scarso appoggio fornito dalle Federazioni britanniche.
Dopo essere stato a lungo acclamato, il rugby ha finalmente riacquisito diritto di cittadinanza nel mondo dello sport olimpico, anche se nella sua variante più “veloce” e “spettacolare”.
La palla ovale tornerà in questa veste alternativa alle Olimpiadi, per le stesse ragioni per cui è nato il rugby seven.
Nel 1883 a Melrose, un piccolo paesino di campagna a sud di Edimburgo, Ned Haig, un macellaio locale che ogni tanto si divertiva a giocare a rugby, decise di organizzare un torneo per raccogliere fondi. Con lo scopo di attrarre più squadre e aumentare la competitività, decise allora di inventare questa variante di rugby a ranghi e tempi ridotti. Il successo fu immediato a livello locale, per poi affermarsi a livello internazionale dopo qualche decennio, conquistare il mondo e adesso persino le Olimpiadi.
Da anni il movimento spingeva per tornare ai Giochi, ma il rugby a 15 (con partite dure e logoranti e lunghe fasi di recupero per i giocatori) era incompatibile con il format olimpico (basti pensare che i Mondiali di rugby durano circa un mese e mezzo).
E l’Italia? Purtroppo a Rio de Janeiro non vedremo i colori azzurri. Le squadre italiane, maschile e femminile, si son viste negare il pass l’anno scorso a luglio.
L’Italia partecipa ai tornei europei senza grandi successi per il momento, per via della mancanza di un vero campionato ma soprattutto di veri giocatori di seven: quasi tutti vengono mutuati dal rugby a 15.
Le prospettive di crescita per i prossimi anni non sono ottimistiche, ma se il torneo olimpico offrirà spettacolo e raccoglierà consenso come tutti si aspettano, si spera che anche il rugby a 7 italiano possa beneficiare dell’ ”effetto olimpiade”, vera e propria manna per gli sport meno conosciuti, ma non per questo meno belli.