Il piccolo Mario saltava giù dal letto non appena l’alba tingeva d’arancio le pareti della sua stanza. Arruffava libri e quaderni nella cartella e si incamminava, come tutte le mattine, verso la scuola elementare. La campagna a primavera era un’amica sorridente che gli teneva compagnia durante il tragitto, insieme alle immancabili figurine dei calciatori che stringeva in mano. Scrutava l’orizzonte domandandosi quanti Filadelfia lo dividessero dallo scomodo banco di legno. Era la sua unità di misura. Ragionava in campi da calcio. Lui, mancino di piede, aspirante terzino sinistro, colmava la distanza con l’immaginazione, disegnava azioni solitarie e fughe liberatorie come i più grandi terzini sinistri della storia. Sognava di diventare un grande numero 3. Nell’aria la voce inconfondibile di Nicolò Carosio teneva il passo alla sua fantasia.
Era Karl-Heinze Schnellinger. Affondò il tackle sul sentiero di ghiaia e ripartì come un treno incuneandosi nel campo di grano ancora verde. Difensore arcigno con libertà di scorribande. Non era l’Azteca né il Bernabeu del ’69, ma tutta quella natura intorno lo esaltava.
Una quercia centenaria divideva il primo Filadelfia dal secondo. Appena oltrepassata, si guardò il braccio sinistro. Era il capitano, Giacinto Facchetti. Lui, fluidificante di sinistra, il primo difensore a realizzare 10 gol in campionato, andò in proiezione offensiva. Si trovò il pallone tra i piedi e con un tiro potente lo infilò all’angolo del cancello arrugginito di una casa colonica. Come nella notte della semifinale di Coppa Campioni contro il Liverpool. Correva l’anno 1965.
In lontananza iniziò a fare capolino tra gli alberi la scuola.
“Due, al massimo tre Filadelfia” pensò.
Si guardò attorno e vide sulla sua destra un ciliegio che iniziava a dare i suoi frutti. Gli venne in mente quella giovane promessa che giocava nel Milan, aveva sentito parlarne i suoi compagni di classe durante la ricreazione. Un certo Maldini. Paolo. Sì. Si chiamava Paolo. Era un nome comune, come il suo. Per oltre un Filadelfia fantasticò sulla carriera di questo giovane di belle speranze. Scudetti, Coppe dei Campioni, Coppe Intercontinentali: una vita di scorribande sulla fascia sinistra proiettate al successo. Chi vivrà vedrà.
Accantonò i pensieri e alzò gli occhi: la scuola era lì a frapporsi tra lui e altra campagna. Tra lui e i numeri 3.
Per abbattere quei mattoni che lo dividevano da altri Filadelfia avrebbe voluto scagliarci un pallone con una forza inaudita. Nessun calciatore al mondo ci sarebbe riuscito. Mario si rassegnò, inconsapevole che dall’altra parte del mondo stava nascendo un nuovo terzino sinistro, un certo Roberto Carlos: l’unico capace col suo sinistro di aprirgli un varco per far correre ancora la fantasia.